Le ragioni della nascita del Pd sono ancora tutte lì: unire le tradizioni riformiste in un partito nuovo che sappia affrontare e risolvere i grandi temi del nuovo millennio. Non si tratta di abiurare i vecchi partiti del passato, ma di capire che ciò di cui il Paese ha bisogno è di una forza politica che sia “comunità di destino” piuttosto che “comunità di origine”.

La globalizzazione, la modifica strutturale dei rapporti di forza tra potenze vecchie e nuove, la trasformazione radicale del lavoro, la perdita del potere di acquisto delle classi medie nei paesi occidentali a fronte dell’uscita dalla marginalità economica di miliardi di persone nei paesi emergenti, la sfida della “tecnoscienza” con le radicali sfide da essa poste tanto in campo economico che nella ricerca. E ancora, le conseguenze sociali delle tecnologie digitali, la ricerca di un nuovo equilibrio tra le libertà economiche e la necessaria regolazione del mercato, la costruzione degli Stati Uniti d’Europa come grande spazio di libertà individuali, giustizia sociale, creazione di valore economico, competitività nei settori economici emergenti, peso politico mondiale.

E in Italia in particolare, le necessarie trasformazioni istituzionali (tagliare semplicemente il numero dei parlamentari senza modificare le competenze dei 2 rami del parlamento e senza modificare la legge elettorale significa solo rincorrere la più vecchia demagogia che, tra l’altro, paga solo per brevissimo tempo), il taglio radicale delle burocrazie asfissianti e parassitarie a fronte di un grande investimento sulla qualità della pubblica amministrazione, un vero piano di rilancio per la ricerca, la scuola e l’università (anche nelle cose semplici, come le borse di studio pubbliche per i meritevoli, scomparse dai radar delle scelte politiche). Sono alcuni degli esempi di ciò che serve

Per realizzare anche solo in minima parte un così grande progetto è necessario un grande partito, capace di rappresentare la società nel suo complesso e che non deleghi ad altri la rappresentanza di singoli settori. Un partito non certo autoreferenziale, ma che viceversa sappia, da una posizione chiara e di forza, stabilire le necessarie alleanze. Se il sistema elettorale che si andrà ad affermare sarà proporzionale piuttosto che maggioritario, è del tutto evidente che la necessità di una vocazione maggioritaria rimane tale. Dunque nessuna delega a partiti di centro che rappresentino in così detti “moderati” immaginando un Pd schiacciato a sinistra.

Se proporzionale sarà, nessuna alleanza strategica preconfezionata nemmeno con i 5Stelle. Il sistema proporzionale non l’ho mai amato e da sempre mi batto per un maggioritario secco. Ma una volta scelto un sistema elettorale, poi devi essere conseguente: nel maggioritario definisci prima l’alleanza e poi ti presenti agli elettori, nel proporzionale si parla a tutti gli elettori e poi in base ai risultati e alle vicinanze politiche e programmatiche, si creano i governi. Piaccia o non piaccia (e a me piace poco) questa è la regola. Tutto si può fare, ma ragionare con schemi maggioritari in un sistema proporzionale non è possibile.
Ritengo positivo che i 5Stelle stiamo superando la dimensione manichea dell’isolamento politico basato su una presunta (e radicalmente smentita) superiorità, che secondo alcuni sarebbe stata addirittura di carattere etico-morale. Due soli anni di governo sono bastati. L’apologia dell’incompetenza, l’uno vale uno hanno lasciato il passo ad una consapevolezza della difficoltà di passare dalle parole (e dalle chiacchiere) ai fatti

Certo, nei 5S vi è stata una positiva trasformazione da posizione quantomeno ambigue sull’Europa e sull’euro ad un più marcato europeismo e atlantismo. E questo è frutto anche del governo insieme al Partito Democratico e il Pd si dovrà confrontare con questa novità. Ma da qui a dire che l’alleanza Pd – 5S sarà automaticamente strategica e organica ne passa. Le allenze strategiche si fanno su un presupposto di unità di visione politica e programmatica. Da lì non si scapp

In questo quadro il Governo Conte deve andare avanti con coraggio e forza. La pandemia (ancora drammaticamente in corso in tutto il mondo) è stata affrontata adeguatamente, come ci è stato riconosciuto a livello globale. In Europa il governo è stato decisivo, tutelando gli interessi nazionali, nella consapevolezza che gli europeisti sono in veri patriotti. Ora il Recovery Fund e gli altri piani di finanziamento strutturale vanno giocati al meglio, evitando come la peste la distribuzione a pioggia di contributi e investendo invece in un grande piano strategico che aumenti strutturalmente la competitività del nostro paese, operi per la giustizia sociale, garantisca la sostenibilità ambientale. Non dimenticando che, come ha recentemente detto Draghi, se per reagire tempestivamente alla crisi da Covid 19 erano necessarie forme drastiche di finanziamento pubblico e dunque di debito pubblico senza precedenti, tutto ciò sarà sulle spalle delle generazioni future. Ad esse la nuova politica deve rivolgersi.


Ne Parlano