Leggendo gli interventi sulla riforma  costituzionale, non si può non constatare una contraddizione di fondo: la riforma del bicameralismo è necessaria, ma questa non va bene. Perché? Qual è l`ipotesi alternativa? Qui comincia il difficile! Le posizioni, infatti, vanno da un criticismo iperbolico, frutto dell`antirenzismo pregiudiziale ed ideologico, teso a strumentalizzare il referendum per cercare di destabilizzare tutto (…a proposito di interesse generale), ad un criticismo paludato, che riconosce la necessità del superamento del bicameralismo, che è contrario a vedere nella riforma “l`anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo”, ma che contesta il modo in cui si è arrivati all`approvazione sostenendo che questo ne mina la credibilità, così giustificando il voto contrario. È evidente che le opinioni frutto del criticismo iperbolico non possono che essere abbandonate a loro stesse, non avendo contenuti di merito e risolvendosi, non senza esercizi retorici talvolta risibili, in posizioni di assoluto conservatorismo estranee anche ai più autorevoli padri costituenti, i cui interventi in Assemblea costituente testimoniano la pluralità di posizioni sul bicameralismo, la consapevolezza della possibilità di altre opzioni, il travaglio della scelta e la coscienza della sua relatività e della non essenzialità del bicameralismo perfetto per l`equilibrio del sistema costituzionale; tali interventi, in altri termini, confermano che si trattò di una scelta di compromesso, figlia del suo tempo e della contingenza storica. A venire in considerazione è quindi un conservatorismo privo di orizzonte, astorico e acostituzionale, che diventa oggettivamente il baluardo del consociativismo in cui è caduto, negli ultimi venticinque anni, il nostro sistema politico e parlamentare. Quel consociativismo che ha consentito una “quota” di rendita a tutti i partiti, quale che fosse il risultato elettorale, e che ha, di fatto, bloccato il sistema, come prova, tra l`altro, la circostanza che per vent`anni è stato impossibile riformare i regolamenti parlamentari, sicura zavorra del bicameralismo. In quel contesto, nessuno perdeva mai le elezioni. E questo spiega perché la critica della riforma costituzionale si fonde e si rafforza con quella della legge elettorale, che crea un solco profondo tra maggioranza ed opposizione, creando le condizioni perché il vincitore delle elezioni abbia condizioni effettive di esercizio del diritto dovere di governare, ín attuazione della regola fondamentale del sistema democratico, che affida alla maggioranza la responsabilità del governo e alla minoranza quella dell`opposizione, del controllo, della critica e dello stimolo. Le seconde posizioni, quelle del c.d. criticismo paludato, sono sicuramente meno ideologiche, ma appaiono contraddittorie, nel momento in cui, sostenendo la necessità del superamento del bicameralismo perfetto, concludono per il no alla riforma, pur riconoscendone anche i profili positivi. Prima di tutto, è chiaro che, se la riforma è necessaria, una maggioranza responsabile deve consentire ai cittadini di poterla determinare. E, del resto, l`art. 138 Cost. contempla tanto l`ipotesi dell`approvazione parlamentare a larghissima maggioranza, quanto quella di pura maggioranza assoluta, cioè di governo, prevedendo la possibilità della decisione popolare attraverso il referendum consultivo. E dunque? Era più democratico restare schiacciati dall`opposizione consociativa o assumersi la responsabilità di cambiare il bicameralismo perfetto? La sovranità appartiene o no al popolo (art. 1 Cost.)? E allora? D`altra parte, questo argomento, per chi riconosce la necessità della riforma, prova troppo, nel senso che l`approvazione di maggioranza era l`unica opportunità di promuovere il cambiamento. Nel merito, è chiaro che, siccome non esiste una riforma perfetta, tutto è criticabile e correggibile, ma per negare il consenso gli elementi di criticità devono essere strutturali, dirimenti, ostativi e non semplicemente pertinenti. Da questo punto di vista, credo che sia errato l`approccio che giudica questa riforma, almeno per quanto riguarda il bicameralismo, come una modifica del sistema vigente: questa riforma, infatti, non si traduce in una rivisitazione del sistema attuale, ma nella sostituzione di questo con uno nuovo. Una sostituzione che ha, nell`evoluzione della nostra costituzione materiale, la sua ragione sostanziale di natura sociopolitica. Nessuno, in effetti, puo negare che da11948 il modello della governance istituzionale è profondamente mutato con l`affermarsi dei livelli regionali e comunali, che ha cambiato l`equilibrio e i rapporti tra governo centrale e governi dell`autonomia e che ha evidenziato il problema della rappresentanza delle istituzioni territoriali anche a livello centrale, apparendo la conferenza StatoRegioni sempre piu insufficiente. È questa la ratio del nuovo bicameralismo differenziato, dell`unica Camera politica e del Senato, legislatore costituente e per altre materie tassativamente indicate, con poteri di iniziativa legislativa, vincolanti per la Camera dei Deputati, nonché competenze di raccordo tra Stato, enti costitutivi ed Unione Europea, partecipando alle decisioni dirette alla formazione e all`attuazione degli atti normativi di quest`ultima. E ancora con poteri di valutazione delle politiche pubbliche e dell`attività della P.A. In questo contesto, vanno collocate la trasformazione del Senato in organo di II grado dal punto di vista elettivo e il meccanismo di individuazione mediata dei suoi componenti: spariscono 315 senatori e vengono individuati 95 tra consiglieri regionalisenatori e sindacisenatori, con i primi individuati dagli elettori con il voto peri consigli regionali.


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