Il fronte anti-sfascisti fra un Pd affrancato dai sovranisti di sinistra e una Forza Italia affrancata dai sovranisti di destra? Per il professor Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, è nelle cose e sarà reso imprescindibile dal risultato delle elezioni. “Quell`alleanza – spiega Ichino al Foglio – prima o poi dovrà attivarsi e incominciare a funzionare; altrimenti, col vento che tira, non si vede come l`Italia possa riprendere il proprio cammino sulla via dell`integrazione europea, senza essere bloccata dalle forze politiche `sovraniste`. Sostengo da tempo che lo spartiacque fondamentale della politica italiana, come di tutti gli altri Paesi occidentali e di molti Paesi non occidentali, non è più quello fra destra e sinistra, ma quello fra pro-euro e no-euro. Che è poi la declinazione europea di quello pro-global/no-global, fondamentale nella politica americana e, a ben vedere, anche in quella asiatica e medio orientale”. Se non si riconosce questo dato, spiega Ichino, “non ci si raccapezza in quello che è accaduto in Europa negli ultimi anni: dalla Grecia all`Austria, dalla Gran Bretagna alla Francia, la vecchia destra e la vecchia sinistra si sono spaccate proprio su questo spartiacque; e i frammenti prodotti dalla spaccatura, a destra e a sinistra, si sono in qualche modo riuniti da una parte e dall`altra di quello spartiacque, accettando di allearsi nonostante la provenienza degli uni e degli altri da destra piuttosto che da sinistra. E negli Stati Uniti si è assistito a una quasi perfetta sovrapposizione tra la ricetta di politica economica proposta in
campagna elettorale da Donald Trump e quella proposta da Bernie Sanders”.
Dunque, senatore, questa ristrutturazione del sistema politico potrebbe avvenire anche in Italia? “In qualche misura questo è già avvenuto in Italia negli ultimi anni e sta avvenendo in questi giorni: sul tema della globalizzazione e dell`integrazione europea, in Parlamento come nella comunicazione mediatica, si sono sentiti discorsi sostanzialmente convergenti per un verso tra i Fratoianni e le Meloni, tra i Grillo e i Salvini, tra i Brunetta e i Fassina; per altro verso tra gli Zanda e i Romani, o tra i Fassino e i Parisi (Stefano o Arturo, su questo terreno non fa differenza): al di là delle sfumature, questi ultimi sono tutti inequivocabilmente schierati per quella che chiamerei la riforma europea dell`Italia”. E secondo lei, quale potrebbe essere la base politica per avviare il dialogo necessario tra i partiti favorevoli a questa riforma? “Qui c`è un problema grosso come una casa: né l`elettorato del Pd né la parte centrista di quello di Forza Italia hanno ancora messo bene a fuoco il passaggio dal Novecento al nuovo secolo; ancora oggi, né l`uno né l`altra sono disponibili a considerare secondaria la propria identità tradizionale `di sinistra` o `di destra` rispetto alla scelta di campo sul terreno della costruzione della nuova Unione europea, come capitolo essenziale per un Paese che intende attrezzarsi per la sfida della globalizzazione. Il risultato è che, sia in un campo sia nell`altro, gli esponenti politici maggiori considerano `intempestivo` parlare ora, prima delle elezioni, di un terreno comune di impegno tra gli europeisti di centrosinistra e quelli di centrodestra. L`unico che sarebbe stato capace di farlo sarebbe stato il Renzi del 2014-2016; ma in questo momento, dopo il ko del referendum del 4 dicembre e con la preoccupazione di tagliare l`erba sotto i piedi ai Bersani e ai D`Alema, nemmeno Renzi ne è capace”.
La frattura con Berlusconi
Lei condivide l`idea del vicepresidente dei senatori del Pd, Alessandro Maran, secondo cui il declino di Renzi è cominciato quando ha deciso di rompere con Berlusconi sull`elezione di Sergio Mattarella? “Con gli occhi del poi è difficile dissentire da quella valutazione. Se Renzi in quel momento avesse accettato di eleggere Giuliano Amato, avrebbe avuto, sì, un Presidente della Repubblica per lui più ingombrante, ma avrebbe evitato la frattura con Berlusconi, quindi non avrebbe dovuto negoziare i contenuti della riforma costituzionale con l`opposizione interna, non si sarebbe visto imputare di voler cambiare la Costituzione `a colpi di maggioranza`, e probabilmente avrebbe avuto il dieci per cento in più di voti favorevoli necessari perché la riforma superasse il referendum”. Se le cose fossero andate così, oggi “lui sarebbe il candidato naturale a rappresentare e guidare l`alleanza tra gli europeisti di tutte le provenienze, contro i sovranisti di tutte le provenienze. Ma la storia non si fa coi se”. A determinare la frattura dell`inverno 2014 contribuirono anche le diffidenze reciproche diffuse nelle constituencies dei due partiti, che i due leader non seppero vincere: da una parte l`antiberlusconismo, dall`altra l`anti sinistrismo. Quelle diffidenze oggi sono superabili? E come? “Se siamo convinti che lo spartiacque fondamentale per la politica italiana oggi non sia quello tra vecchia destra e vecchia sinistra, cioè che la scelta fondamentale di fronte alla quale il Paese si trova sia tra integrazione Europea e ritorno alla sovranità nazionale vecchia maniera, non possiamo pensare che queste incrostazioni della politica del secolo scorso siano insuperabili. Dobbiamo pensare che ci sia una declinazione di sinistra e una di destra della `riforma europea dell`Italia`, ma che tra di esse sia possibile un`intesa politica”. Più difficile, invece, spiega Ichino, “è prevedere quanto tempo occorra perché questa intesa maturi e perché maturi un leader capace di rappresentarla in modo creativo e politicamente efficace. A ben vedere, le sorti della partita tra europeisti e sovranisti dipendono in gran parte dalla rapidità con cui questo accadrà”. Ed è tutto da dimostrare che Renzi sia ancora in gioco.


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