Il Senato,

considerato che:

le tensioni politiche e le continue fibrillazioni che investono con frequenza e intensità crescenti la maggioranza di governo, unite al conclamato fallimento delle politiche per la crescita e al progressivo isolamento internazionale dell’Italia, stanno conducendo il Paese verso una condizione irreversibile di stallo politico-istituzionale e di declino economico e sociale, che l’Esecutivo in carica non appare più in grado di fronteggiare;

da mesi l’azione di governo è ormai sostanzialmente paralizzata da contrapposizioni e veti incrociati tutti interni alle forze di maggioranza, orientati esclusivamente a lucrare un interesse elettorale, a scapito della funzionalità delle amministrazioni centrali dello Stato e della tempestività ed efficacia nella gestione dei più delicati dossier all’ordine del giorno del Governo, da quelli economici e sociali a quelli internazionali;

la vicenda del cosiddetto decreto Crescita, approvato “salvo intese” dal Consiglio dei ministri il 4 aprile scorso e ancora non emanato a dispetto dei suoi dichiarati presupposti di necessità e d’urgenza, nonché quella del decreto Sblocca-cantieri, adottato dopo analoga e sofferta gestazione, dimostrano la crescente difficoltà dell’Esecutivo non solo nel trovare al suo interno le necessarie “intese” e lo spirito di collegialità previsto dall’articolo 95 della Costituzione, ma anche e soprattutto nel comprendere e interpretare le aspettative delle imprese e dei cittadini che si trovano quotidianamente a fronteggiare gli effetti della crisi economica tuttora in atto;

nel discorso d’insediamento pronunciato al Senato il 5 giugno 2018, il Presidente del Consiglio aveva posto al centro dell’azione di governo il rafforzamento del contrasto alla “corruzione che si insinua in tutti gli interstizi delle attività pubbliche, altera la parità di condizioni tra gli imprenditori, degrada il prestigio delle pubbliche funzioni”, aggiungendo che si sarebbero “contrastate con ogni mezzo le mafie, aggredendo le loro finanze, le loro economie e colpendo le reti di relazioni che consentono alle organizzazioni criminali di rendersi pervasive nell’ambito del tessuto socioeconomico”;

alla luce di quelle parole appare a maggior ragione discutibile la scelta di ammettere alla compagine governativa un soggetto già condannato con sentenza definitiva per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, cioè per reati la cui natura e gravità avrebbero dovuto sconsigliare la nomina a sottosegretario di Stato o, quanto meno, precludergli il conferimento di deleghe tali da esporlo a un conflitto d’interessi, cioè a quello stesso fenomeno che il Presidente Conte nel suo discorso d’insediamento aveva definito “un tarlo che mina il nostro sistema economico e sociale sin nelle sue radici e impedisce che il suo sviluppo avvenga nel rispetto della legalità e secondo le regole della libera competizione”;

considerato, per altro verso, che:

il Documento di economia e finanza 2019 – il primo che incorpora negli andamenti tendenziali gli effetti dei provvedimenti approvati in questa prima fase della legislatura – ha di fatto certificato il fallimento della politica economica del Governo, riconoscendo ufficialmente un insuccesso previsto da tutti i più autorevoli istituti nazionali e internazionali già nello scorso autunno e rendendo evidente una pericolosa incapacità di programmazione degli obiettivi e di valutazione degli effetti economici delle proprie scelte;

nel medesimo quadro programmatico del Governo, il tasso di disoccupazione risulta accresciuto dal 10,6 per cento del 2018 all’11 per cento dell’anno in corso, con un ulteriore peggioramento dello 0,1 per cento nel 2020; la crescita degli investimenti fissi lordi si è ridotta dal 3,4 per cento del 2018 all’1,4 per cento nel 2019 e, per quanto riguarda gli investimenti pubblici, non si ravvisa ancora alcuna evidenza del grande piano di investimenti, più volte annunciato dal governo; di contro, la pressione fiscale è tornata a salire: dal 42,1 per cento del 2018 al 42,7 per cento nel biennio 2020-2021;

oltre agli inconsistenti risultati sul versante della crescita, il DEF ha evidenziato un quadro allarmante di una finanza pubblica tornata fuori controllo nei pochi mesi di attività di Governo, con un indebitamento netto che dalla previsione del 2 per cento di dicembre 2018 è aumentato al 2,4 per cento; questo peggioramento rende certa, per ammissione dello stesso Governo, l’attivazione del taglio della spesa, previsto dalla legge di bilancio 2019, di due miliardi di euro, tra cui 300 milioni per il trasporto pubblico locale, con evidenti ripercussioni sul livello delle prestazioni dei servizi essenziali per i cittadini;

la ridotta credibilità dell’azione del Governo ha determinato un aumento dello spread, oggi stabilmente al di sopra dei 250 punti base rispetto ai 130 dell’inizio del 2018, costringendo a finanziare una maggior spesa per interessi che sottrae risorse per la crescita e fa registrare nel 2019 l’aumento complessivo fino al 132,6 per cento del debito in rapporto al PIL: un livello che – ancorché ottimistico perché incorpora irrealistici proventi da privatizzazioni pari all’1 per cento del PIL – è il più alto mai raggiunto in Italia dal 1924;

rilevato che:

il Governo non ha, ad oggi, fornito alcun elemento idoneo a sostenere credibilmente gli obiettivi  della manovra di bilancio per il 2020, posto che – secondo l’UPB-  per neutralizzare le clausole di incremento dell’IVA e delle accise, finanziare le spese a politiche invariate e gli annunciati maggiori investimenti e mantenere gli obiettivi fissati nel DEF, dovrebbero essere individuate misure per circa 25 miliardi di euro nel 2020, che salirebbero a circa 36 miliardi di euro nel 2021 per raggiungere i 45 miliardi di euro a fine periodo;

preso atto, in definitiva, che:

la delicata situazione internazionale, la persistenza della crisi economica e finanziaria che ancora investe l’Europa e – soprattutto – lo stato di sfiducia delle imprese e il crescente malessere sociale che colpisce ampie fasce della popolazione italiana richiederebbero un Governo solido e sicuro, politicamente coeso, libero da condizionamenti privati e immune anche solo dal sospetto dell’asservimento a interessi criminali; un governo capace di operare in condizioni di piena legittimazione democratica a tutela dell’interesse nazionale;

valutato infine che:

il “governo del cambiamento” ha prodotto fino ad oggi un unico e accertato cambiamento: da quando si è insediato, gli Italiani sono più indebitati e isolati nel mondo, il prestigio e la credibilità dell’Italia si sono appannati, l’occupazione è diminuita, la crescita si è fermata, l’insicurezza e l’illegalità si sono accresciute, assieme alla percezione di impunità dei governanti;

tutto ciò considerato:

esprime, ai sensi dell’articolo 94 della Costituzione, la propria sfiducia al Governo.


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