Annunciando il voto favorevole delle senatrici e dei senatori del Partito democratico alle modifiche del Regolamento del Senato sulle quali fra poco l’Aula si dovrà esprimere, c’è qualcosa che voglio dire, anzi che debbo dire subito.

Le nuove norme regolamentari sono per la nostra democrazia parlamentare rappresentativa un investimento sul futuro, serviranno a renderla più forte, più efficace, più capace nell’affrontare la sfida di un mondo che ci chiede di risolvere nel più breve tempo possibile problemi sempre più complessi e più difficili da governare.

 

C’è troppa indifferenza di fronte agli evidenti problemi della nostra democrazia e alla crisi dello Stato.

Lo dico pensando non solo alla nostra discussione interna, ma anche e soprattutto osservando il dibattito politico e culturale nel nostro Paese.

La questione della condizione dello Stato e dell’adeguatezza della nostra struttura democratica alla domanda di rappresentanza e di governabilità in un mondo che cambia con una velocità e una profondità mai visti, dovrebbe essere la prima preoccupazione di tutte le forze politiche e dei movimenti culturali e sociali del nostro Paese.

 

Sappiamo tutti che nel mondo gran parte delle democrazie è in crisi, una crisi grave, per la quale dobbiamo avere molta attenzione.

Sappiamo che alla tenuta della democrazia sono legati non solo i nostri diritti e le nostre libertà, ma anche le condizioni della nostra convivenza civile, del nostro benessere e della qualità della nostra cultura.

Una democrazia in crisi disgrega lo Stato, rende fragile l’ordinamento giuridico, indebolisce la divisione dei poteri.

 

Come sappiamo e come spesso è accaduto in passato ed accade tuttora, quando si aggravano, le crisi delle democrazie possono produrre effetti molto gravi, sino a far prevalere forze antisistema, nazionalismi ottusi, istinti reazionari, governi più o meno autoritari.

È per evitare questi pericoli che l’Italia ha bisogno di rafforzare la sua democrazia con profonde riforme della struttura istituzionale.

Naturalmente chi, come me, ha promosso e votato la riforma costituzionale in Parlamento e ha votato sì al Referendum, è obbligato a tener conto del risultato referendario molto di più di chi ha votato no.

Ma devo, però, ricordare che i problemi che la riforma tentava di risolvere rimangono tutti intatti, a cominciare dagli evidenti limiti di un bicameralismo paritario che è scomparso in tutta Europa e che produce alla nostra democrazia vistosi deficit in termini di efficienza e di efficacia.

Da qui lo straordinario valore che hanno i Regolamenti parlamentari, che sono in grado di condizionare in modo molto rilevante la qualità dei lavori di Camera e Senato e, cioè, la qualità delle leggi che governano la società italiana.

 

Forse non tutta l’opinione pubblica ha chiaro sino in fondo il peso dei Regolamenti nella vita istituzionale di una democrazia parlamentare.

La loro natura di atti normativi interni li rende non facilmente decifrabili se non dagli addetti ai lavori.

Sono, però, certo che in quest’Aula a nessuno sfugge lo straordinario rilievo del voto che esprimeremo tra breve.

Nel nostro ordinamento i Regolamenti parlamentari hanno una forza e un valore molto vicino a quello delle norme costituzionali e completano, rendendole vive e vitali, le disposizioni della Costituzione sull’organizzazione del potere legislativo.

Sono i Regolamenti a disciplinare l’iter delle leggi in Commissione e in Aula.

Sono i Regolamenti a definire l’architettura organizzativa di Camera e Senato.

Sono i Regolamenti che consentono una equa distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione.

Sono i Regolamenti a definire la posizione del Presidente dell’Assemblea, dei Presidenti di Commissione e degli altri organi del Senato.

Sono i Regolamenti a stabilire le rilevanti prerogative delle Giunte.

Le norme che, mi auguro, approveremo tra breve aggiornano punti molto importanti del Regolamento del Senato ed entreranno in vigore soltanto dalla prossima legislatura.

Non sarà, quindi, il lavoro dei senatori in carica a poterne beneficiare, a conferma che l’unico obiettivo del nostro voto non dev’essere il nostro particolare e personale interesse politico, ma la migliore efficienza del sistema parlamentare.

 

Nel Comitato ristretto costituito all’interno della Giunta per il Regolamento per l’elaborazione del testo che tra poco voteremo erano rappresentati i gruppi del Partito Democratico, Forza Italia, 5 stelle e Lega Nord.

La proposta di modifica sulla quale questa mattina ad inizio di seduta ha preso la parola il relatore e che tra breve dovremo votare, è il frutto di una positiva collaborazione, per la quale desidero ringraziare i senatori Anna Maria Bernini, Roberto Calderoli e Maurizio Buccarella.

Li ringrazio molto sinceramente, sottolineando che il lavoro comune non va interpretato come una convergenza politica tra maggioranza e opposizione, che restano politicamente molto distanti, quanto come una leale collaborazione tra senatori di molto diversa ispirazione politica, mossi dal comune intento di rendere più forte ed incisiva l’azione del Senato.

Questo buon risultato, confortato anche dall’esito delle tante votazioni a scrutinio segreto che si sono svolte questa mattina, è stato anche il frutto di un accordo che prevedeva che il testo finale avrebbe dovuto contenere, e così è stato, soltanto quelle norme sulle quali c’era un consenso unanime di tutti e quattro i senatori del Comitato ristretto.

Questo metodo ha portato a sacrificare quelle modifiche che alcuni di noi avrebbero voluto, ma sulle quali non c’era il consenso degli altri.

In compenso, però, è stato portato in Giunta e in Aula un testo tra noi largamente condiviso e per il quale, quindi, c’era una ragionevole aspettativa che sarebbe stato approvato dalla Giunta, come poi è avvenuto, e dall’Aula, come mi auguro che accada tra breve.

Non voglio qui ripercorrere il dettaglio della riforma del Regolamento del Senato sulla quale dobbiamo votare. Ne hanno già dato conto il dibattito di ieri in discussione generale e le dichiarazioni di voto che pochi minuti fa mi hanno preceduto.

Le modifiche proposte hanno un valore riformatore molto alto in termini di maggiore rispetto della volontà popolare, di velocità dell’iter degli atti legislativi, di qualità e chiarezza dei lavori parlamentari.

Nel prevedere che i Gruppi parlamentari debbano corrispondere ai partiti o ai movimenti politici che alle elezioni hanno eletto i propri rappresentanti, si rafforza il rispetto della volontà popolare e si pongono limiti alla frammentazione che spesso ci ha caratterizzato.

Riducendo i tempi dei nostri interventi, dando un termine alle commissioni per completare il loro lavoro, stabilendo che le questioni pregiudiziali possano essere poste solo dai Gruppi o da un decimo dei senatori, si imprime una maggiore velocità dell’iter degli atti legislativi.

Prevedendo che due settimane al mese vengano riservate al lavoro delle commissioni e che quei giorni non potranno coincidere con quelli dedicati all’Aula, si contribuisce sensibilmente a migliorare la qualità dei lavori parlamentari.

I vantaggi di un esame approfondito in commissione prima che il testo arrivi in Aula sono evidenti.

Dopo l’approvazione della riforma, arriveranno all’Aula solo testi più compiutamente definiti in commissione, testi che il dibattito dell’Assemblea dovrà solo perfezionare, completare e, infine, definire.

La riforma ha infine l’obiettivo di rendere quanto più ordinata possibile la disciplina dei nostri lavori, anche aumentando la chiarezza dell’espressione della volontà dei senatori.

Serve anche a questo la previsione che il voto di astensione, che ora in Senato equivale a un voto contrario, torni ad essere un vero voto di astensione, ossia un voto neutro.

Signor Presidente,

il lavoro sui Regolamenti compiuto dal Comitato ristretto e dalla Giunta non partiva dal nulla, ma aveva come base le numerose proposte di modifica che diversi senatori di vari Gruppi hanno presentato in questa legislatura e in quelle precedenti.

 

Tra i tanti senatori che nel passato recente hanno dedicato tempo e fatica alla formulazione di proposte di modifica del Regolamento voglio ricordare Anna Finocchiaro, Massimo Brutti, Gaetano Quagliariello, Stefano Ceccanti e Renato Schifani.

 

Ricordo il lungo iter della riforma e do atto del lavoro di alcuni tra quanti in passato l’hanno promossa, soprattutto per sottolineare come nessuno di noi abbia il titolo ed attribuirsi il merito della riforma.

Certamente non ne ho titolo io né, mi scuseranno, ne hanno il relatore Calderoli, che vi ha tanto lavorato, e il presidente Grasso, al quale si deve l’indicazione e la costituzione del Comitato ristretto.

Dobbiamo avere l’ambizione di attribuire le responsabilità e il merito di questa riforma all’intera Assemblea.

Dobbiamo saper dire a voce alta che, a conclusione di una legislatura molto difficile, caratterizzata e attraversata da pesanti tensioni politiche, il Senato della Repubblica ha saputo e voluto approvare, mi auguro a larga maggioranza, una incisiva riforma del suo Regolamento nel solo interesse di migliorare il lavoro della prossima legislatura.

Per me, questa è buona politica.

 

 


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