CONZATTI, MAIORINO, VALENTE, DE PETRIS, UNTERBERGER, BONINO, SBROLLINI, LEONE, FEDELI, ROSSOMANDO, PERILLI, MARCUCCI, FARAONE, ABATE, ACCOTO, ANASTASI, ANGRISANI, BOLDRINI, BRESSA, CATTANEO, CIRINNA’, D’ANGELO, DE LUCIA, DI GIROLAMO, DI NICOLA, EVANGELISTA, FATTORI, FENU, FERRARA, GARAVINI, GARRUTI, GINETTI, GUIDOLIN, IORI, LAFORGIA, LA MURA, LANIECE, LOREFICE, MATRISCIANO, MESSINA Assuntela, NANNICINI, NUGNES, ORTIS, PARENTE, PAVANELLI, PIRRO, ROMANO, ROJC, SUDANO, VANIN, VONO

Il Senato,

premesso che:

durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria da COVID-19 le donne italiane che, secondo fonti ISTAT, hanno continuato a lavorare sono state 6.440.000 circa, due terzi del totale delle occupate; tra queste buona parte impiegate nella pubblica amministrazione, in particolare nel settore dell’istruzione e nel Servizio sanitario nazionale dove le donne rappresentano circa i due terzi del personale;

le donne hanno fornito il contributo maggiore durante le settimane di più grave emergenza sanitaria, risultando peraltro sottoposte a un forte sovraccarico di lavoro, soprattutto se madri con figli, ma la fase di ripresa delle attività, ormai avviata, presenta il forte rischio di produrre effetti asimmetrici soprattutto sul livello e sulla qualità occupazionali tra uomini e donne, come ha sottolineato con chiarezza il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres;

se durante le crisi economiche più recenti l’occupazione femminile aveva subito un rallentamento senza però subire una diminuzione drastica, nella congiuntura attuale i settori economici più colpiti, almeno nella prima fase, sono stati e continueranno ad essere il turismo, il commercio, la comunicazione, il terziario avanzato, i servizi in genere, tutti ad elevata, se non prevalente, presenza femminile; in questo quadro, è prevedibile che i contratti part-time e a tempo determinato siano i primi a non essere rinnovati, così come faticheranno a “riprendersi” le start up femminili che hanno rappresentato un peculiare elemento di vivacità economica nell’intero Paese, con la conseguenza che le donne rischiano di pagare un prezzo economico e sociale altissimo;

l’emergenza epidemiologica da COVID-19 ha ulteriormente evidenziato le distorsioni, le iniquità e le discriminazioni presenti nel mondo del lavoro e nella nostra società che incidono negativamente non solo sulla vita delle persone, ma anche sulla qualità del nostro sistema produttivo e sulle prospettive di crescita del Paese. A pagare il prezzo più alto in termini di diritti rischiano di essere soprattutto le donne e tra queste soprattutto coloro che vivono e lavorano nelle aree più svantaggiate; oggi il principale moltiplicatore delle disuguaglianze di genere è infatti un divario territoriale e regionale che ormai taglia trasversalmente l’Italia da nord a sud e da ovest a est e che ha un’incidenza marcata soprattutto sull’occupazione femminile, con una quota di donne occupate al Sud che è la metà rispetto al Nord, e con alcune regioni meridionali dove una donna su due è a rischio povertà ed esclusione sociale;

l’Italia è un Paese in cui la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è molto legata ai carichi familiari, in particolare per coloro che hanno un minore livello di istruzione; nel 2018 è aumentato lo svantaggio delle donne con figli in età prescolare rispetto alle donne senza figli, con un tasso di occupazione delle madri più basso del 26 per cento delle prime rispetto alle seconde; inoltre, se padri e madri occupati hanno ugualmente problemi di conciliazione, sono soprattutto le donne ad aver modificato le modalità di svolgimento della propria attività lavorativa per conciliare meglio il lavoro con le esigenze di cura dei figli e della famiglia;

con la chiusura delle scuole la cura dei figli è ricaduta per intero sulle donne: le madri sono e saranno per mesi il principale “servizio” disponibile per ammortizzare le conseguenze dell’emergenza. Per migliaia di loro le dimissioni diventeranno una scelta obbligatoria, così come il ritorno al ruolo esclusivo della casalinga. Inoltre l’enorme problema che ha riguardato e continua a riguardare le RSA ha costretto le donne (soprattutto le donne fra i 50 e i 60 anni di età) a prendersi cura dei genitori anziani, con il rischio che nel modello di welfare familistico del nostro Paese e nel contesto di maggiore diffusione dello smart working, il tempo di lavoro per le donne si allunghi considerevolmente e diventi più pesante e gravoso;

l’Ipsos certifica che il 74 per cento delle donne ha sulle spalle la gestione della casa senza aiuti da parte del partner. Occorre pertanto molta attenzione quando si parla di lavoro agile: se una donna deve occuparsi dei figli, della casa e dei genitori anziani lo smart working rischia di essere una modalità di lavoro fortemente penalizzante;

è tempo di mettere ordine nel lavoro a distanza. La pandemia ha travolto tutte le resistenze e ha fatto scoprire la sua importanza e, nel contempo, ha reso più evidente il “digital divide“. Ora però il prezzo da pagare rischia di scaricarsi sulle donne. La mancanza di coerenza tra telelavoro e lavoro agile va superata con un’azione di sistema che sollevi il velo sulle modalità di svolgimento, quasi sempre on line. Si deve puntare a lasciare alla lavoratrice l’organizzazione dei tempi: di lavoro a distanza off line. Solo così le tecnologie e la scissione spazio temporale saranno strumenti di conciliazione tra lavoro di cura e lavoro per il mercato e non regressione nel focolare domestico;

l’eventualità che le donne siano le persone più esposte alla perdita del lavoro, all’ampliarsi del gender pay gap, già stimato, in tutta Europa, intorno al 16 per cento, deve essere assolutamente evitata non solo perché rappresenterebbe un’inaccettabile violazione di diritti fondamentali e una discriminazione di genere intollerabile, ma perché la perdita del lavoro delle donne significherebbe il venir meno di un investimento che vale diversi punti di PIL (a livello mondiale il 35 per cento entro il 2025 secondo il Fondo monetario internazionale) e quindi della possibilità di rimettere il Paese sui binari di una crescita più solida, sostenibile, paritaria, inclusiva;

le misure di sostegno all’occupazione adottate fino a questo momento dal Governo, come il bonus baby sitter o la possibilità di usufruire dei congedi parentali, si stanno rivelando sicuramente utili, ma non sufficienti a sostenere le donne che lavorano e a rappresentare la base di un piano innovativo per il rilancio dell’economia e dell’occupazione;

il rilancio del nostro Paese, per essere tale, dovrebbe passare mediante un cambiamento totale del paradigma su cui è basato il nostro sistema produttivo, di consumo e di relazione al fine di realizzare un nuovo modello, frutto di una cultura dell’innovazione, della sostenibilità, dell’etica e dell’equità, capace di mettere al centro la persona e il benessere generale, di cui proprio le donne “generatrici di vita” possono e devono essere protagoniste e principali interpreti; perciò, i prossimi mesi rappresentano un’opportunità straordinaria da non mancare per ridurre il gap oggi esistente; è ben noto infatti che l’aumento del tasso di occupazione femminile avrebbe ricadute positive sul PIL, così come è noto che il ritardo accumulato dall’Italia deriva anche dal suo basso tasso di natalità, inevitabile quando la nascita di un figlio può significare l’uscita dal mercato del lavoro o l’interruzione di una carriera;

se questo è l’obiettivo, se si ammette che investire sul lavoro delle donne significa investire sul futuro del Paese, allora è necessario superare “vecchi” strumenti basati su una falsa neutralità formale delle misure, che troppo spesso comportano una discriminazione sostanziale, e ragionare in termini di impatto di genere;

eliminare le discriminazioni, dirette e indirette, tra donne e uomini, nelle condizioni di lavoro e nel riconoscimento economico (obiettivi indicati già dalla Conferenza mondiale di Pechino del 1995), incentivare la partecipazione delle donne alla vita pubblica con politiche di empowement e di mainstreaming, liberando le loro energie, valorizzandone la differenza, riconoscendo loro il diritto di essere madri e lavoratrici senza dover essere costrette a compiere scelte escludenti dell’una o dell’altra condizione, significherebbe realizzare un beneficio per tutti, tanto più necessario oggi per uscire da una crisi mondiale che sta, drammaticamente, ma in un certo senso anche finalmente, svelando tutte le ingiustizie e contraddizioni su cui si basa gran parte del nostro sistema sociale, economico, produttivo e di consumo; non va dimenticato poi che una maggiore autonomia e indipendenza, economica, sociale e relazionale, rappresentano anche lo strumento più efficace e duraturo per rendere le donne meno esposte alla violenza domestica e di genere;

occorre costruire politiche del lavoro, uno sviluppo economico, un sistema di welfare che abbiano questa ambizione. I tempi di vita e di lavoro sono cambiati in questa drammatica crisi. C’è stato un mutamento profondo e rapido del lavoro in questi ultimi mesi che ha ridefinito le connessioni spazio-tempo. Hanno preso prepotentemente piede diverse forme di lavoro con conseguenti diverse forme di tutele e il divario fra lavori tutelati e lavori non tutelati si è ulteriormente allargato;

la ripresa avrà molto bisogno delle competenze femminili. E non solo perché in Italia il 60 per cento dei laureati è donna. Questo momento di passaggio può essere una grande occasione per rivedere alcune politiche sociali, prevedendo, ad esempio, più asili nido a prezzo sostenibile e più servizi all’infanzia;

premesso inoltre che:

il principio della parità di genere rappresenta un principio fondamentale della UE sancito dal trattato sull’Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali, inserito nei trattati sin dalla sua fondazione; eppure, anche a livello europeo l’affermazione del diritto delle donne a godere di uguaglianza, emancipazione e sicurezza si scontra con una realtà più complessa e sfaccettata, con progressi disomogenei e significative divergenze tra i Paesi membri;

anche per questo le iniziative politiche e legislative della UE mirate al suo raggiungimento sono state numerose, rappresentando oggi un elemento fondamentale dell’azione del Parlamento europeo e della nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen;

poco prima dello scoppiare della pandemia, nella seduta plenaria di giovedì 13 febbraio, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che definisce le priorità del Parlamento europeo per la 64a Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne, solo l’ultimo di una serie di atti che hanno al centro la questione della promozione dei diritti delle donne e della parità di genere; la posizione di lunga durata del Parlamento è quella di elaborare e perseguire una solida strategia della UE per la parità di genere, a partire dalla necessaria integrazione della dimensione di genere che costituisce in tutte le politiche, le misure e le azioni della UE, considerando che i diritti delle donne e la parità di genere non rappresentano soltanto diritti umani fondamentali, ma anche una condizione essenziale per l’avanzamento dello sviluppo sociale ed economico e la riduzione della povertà in un mondo prospero e sostenibile;

il Consiglio europeo, al pari del Parlamento, mira anch’esso a definire una strategia adeguata alla promozione della parità di genere; l’agenda strategica del Consiglio adottata nel giugno 2019 sottolinea che è un imperativo sociale ed economico che la UE e i suoi Stati membri facciano di più per garantire i diritti e le pari opportunità per tutti e la parità tra donne e uomini; il programma del trio di presidenze tra gennaio 2019 e giugno 2020 sottolineava inoltre l’importanza della parità come valore comune e la necessità di promuovere le pari opportunità e la parità di genere in tutte le politiche della UE e di introdurre una strategia per la parità di genere che associ azioni specifiche e integrazione;

la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha individuato la parità di genere come tema e obiettivo di centrale importanza e promesso una nuova strategia della UE in materia di uguaglianza di genere; il programma di lavoro per il 2020 della Commissione ha incluso la strategia per la parità di genere (2020-2024); la Commissione ha già pubblicato una tabella di marcia che definisce le priorità: la nuova strategia presentata ad inizio marzo si concentra ancora sul divario retributivo di genere, sulla parità nel processo decisionale e sulla lotta alla violenza e agli stereotipi di genere, e introdurrà nuove priorità, come l’intelligenza artificiale e i cambiamenti climatici; saranno presentate nuove proposte legislative (ad esempio in materia di trasparenza salariale) e sostenuta l’attuazione efficace della legislazione vigente della UE, in particolare la direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare; sarà stimolato il gender mainstreaming nell’attività di ideazione delle politiche della UE e di realizzazione delle misure mirate ad affrontare le disuguaglianze di genere persistenti o emergenti, con nuove priorità trasversali quali gli impatti cumulativi delle disuguaglianze di genere nel corso della vita e la “intersezionalità”, per tenere conto dell’interazione tra genere e caratteristiche quali l’età, l’etnia, l’identità sessuale, l’orientamento e la disabilità;

fondamentale la coscienza, espressa a più riprese da parte della classe dirigente femminile europea del fatto che, a fronte delle importanti transizioni che la nostra società vive, è sempre necessario garantire che donne e uomini abbiano le stesse opportunità e che le ineguaglianze non siano ulteriormente esacerbate dai cambiamenti; questo è tanto più vero oggi che l’Europa deve affrontare gli sconvolgimenti economici, sociali e sanitari dovuti alla pandemia da COVID-19, cosicché essenziale è fin da oggi creare le condizioni affinché le donne siano al centro di una transizione equa, sul piano professionale e su quello privato, e siano colmati divari che impediscono alle donne in Europa di sviluppare il loro pieno potenziale nelle imprese, nella politica e nella società,

impegna il Governo:

1) a predisporre un piano straordinario di misure finalizzato al sostegno e all’incentivazione del lavoro femminile in modo da rendere compatibili i tempi della vita e del lavoro, al fine di consentire alle donne lavoratrici la possibilità di dedicarsi alla famiglia senza correre il rischio di perdere il lavoro e senza incorrere in atteggiamenti discriminatori e di riprendere al più presto le attività lavorative prevedendo, a tal fine, strumenti di programmazione concreti per la riorganizzazione del sistema scolastico e di ogni servizio alla famiglia; il riordino e il potenziamento degli incentivi, anche selettivi, per sostenere l’ingresso o il rientro delle donne nel mondo del lavoro; la definizione di misure a favore delle famiglie con persone con disabilità o con anziani non autosufficienti; l’incremento del fondo per le politiche della famiglia per il potenziamento dei centri estivi diurni per i bambini e i ragazzi fino a 14 anni; l’incremento del bonus baby sitting per l’assistenza e la sorveglianza dei figli minori fino a 14 anni di età, indipendentemente dall’attività lavorativa svolta dal genitore con la possibilità che sia utilizzato anche per l’iscrizione ai servizi integrativi per l’infanzia e ai servizi socio-educativi territoriali;

2) a proporre un intervento di modifica della normativa sullo smart working, soprattutto rispetto al diritto di disconnessione e in modo che siano le lavoratrici a scegliere l’organizzazione dei tempi del loro lavoro, prevedendo comunque anche per loro il bonus baby sitting e introducendo misure ancora più stringenti rispetto a quelle previste per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, anche istituendo un apposito numero telefonico a tal fine dedicato;

3) a prevedere un prolungamento dei congedi parentali ulteriore rispetto a quanto previsto dal decreto-legge “cura Italia”, incrementandone il valore, rendendoli paritari e fruibili obbligatoriamente da entrambi i genitori indipendentemente dall’attività lavorativa svolta, con particolare riferimento ai genitori con figli minori di 12 anni e a prescindere dalla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole;

4) a tutelare il lavoro di cura e quindi la figura del caregiver familiare, che spesso è rivestita dalle donne, attraverso il riconoscimento del suo valore per la società e a prevedere e proporre un sistema di premialità fiscale per consentire la totale deduzione delle spese sostenute per il lavoro di cura;

5) a predisporre un piano nazionale dei tempi e degli orari che favorisca la compatibilità tra orario di lavoro e le esigenze derivanti dalla forte riduzione dei servizi, che investirà prevalentemente le donne lavoratrici, in modo da prevenire possibili comportamenti discriminatori;

6) a rafforzare e implementare misure specifiche di tutela e sostegno volte a superare la discriminazione e i maggiori ostacoli che anche in ambito lavorativo trovano particolari categorie femminili come le vittime di tratta, le vittime di violenza, le donne sopravvissute al business della prostituzione, le donne lesbiche e le donne transgender;

7) a prevedere misure di emersione dal lavoro nero e sommerso di colf e badanti, consentendo ai datori di lavoro di mettersi in regola, in un tempo definito, con il pagamento dei contributi;

8) a promuovere ogni utile iniziativa al fine di sostenere la crescita e l’educazione dei bambini e delle bambine di tutte le famiglie, anche monoparentali;

9) a introdurre misure finalizzate alla riduzione del “digital divide” che ancora oggi penalizza le donne, in particolare nelle aree più svantaggiate del Paese;

10) ad adottare tutte le iniziative necessarie al raggiungimento dell’obiettivo n. 5 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze;

11) a prevedere una “strategia nazionale per la parità di genere”, per colmare i persistenti divari di genere nel mondo del lavoro, a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni, di sviluppare il pieno potenziale femminile nelle imprese, nella politica e nella società, nonché di conseguire un equilibrio di genere a livello decisionale e politico;

12) a garantire una paritaria progressione di carriera per le donne, in modo da eliminare quel “tetto di cristallo” che ha finora impedito alle donne di occupare ruoli apicali sebbene ne avessero le competenze, eliminando ogni forma di discriminazione e favorendo lo sviluppo di una cultura organizzativa e di rispetto delle diversità di genere ancora troppo spesso carente nel nostro contesto lavorativo;

13) a prevedere nei prossimi piani di stabilizzazione del lavoro precario nell’ambito della sanità, nonché della ricerca biomedica, che si garantisca almeno il 50 per cento di donne;

14) a garantire alle donne il necessario supporto psicologico e psicoterapeutico per affrontare la “fase 2” per la riorganizzazione del lavoro e del contesto familiare con le prestazioni previste dall’articolo 24 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, recante la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza;

15) a valutare l’opportunità di intervenire sulla normativa vigente al fine di individuare una percentuale dei beni confiscati alle associazioni mafiose da destinare ad uso e utilizzo delle imprese femminili, in modo da rafforzare la presenza dell’imprenditoria femminile, contrastare la precarietà del lavoro delle donne, in particolare delle giovani donne e dare slancio alla vocazione femminile;

16) a istituire da subito l’Osservatorio istituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per la valutazione dell’impatto di genere come prassi ordinaria nella fase ex ante progettuale di qualsiasi iniziativa legislativa, politica, strategica, programmatica, indispensabile per cambiare metodo di decisione e superare diseguaglianze e valorizzare le diversità. A tal fine occorre: effettuare ricognizioni della normativa di genere vigente; raccogliere dati comparabili sulla parità tra i generi, nonché statistiche disaggregate in base al sesso; quantificare le ricadute sull’occupazione femminile degli investimenti e delle politiche pubbliche in materia di occupazione e di formazione; assicurare il coordinamento delle amministrazioni in materia di analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR), nonché di verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR), per quanto concerne i profili di genere; favorire l’avvio di sperimentazioni finalizzate alla definizione di metodologie e di indicatori relativi alla misurazione di fenomeni sociali ed economici non ancora compiutamente indagati nella prospettiva di genere; favorire e promuovere la realizzazione e la diffusione di statistiche di genere, anche attraverso il censimento delle ricerche e pubblicazioni di interesse per l’informazione statistica ufficiale, inserita nel programma statistico nazionale, realizzate anche da soggetti che non fanno parte del sistema statico nazionale (SISTAN); formulare suggerimenti e proposte finalizzati all’individuazione di nuove esigenze informative, tematiche emergenti nonché analisi, studi, ricerche e metodologie di particolare interesse in un’ottica di genere;

17) a continuare a perseguire a livello europeo, in aggiunta alle specifiche misure del momento necessarie ad arginare gli effetti della pandemia, ogni politica e misura finalizzata a promuovere la parità tra donne e uomini, sostenendola nell’ambito dei programmi strategici pluriennali a largo raggio e nella programmazione delle risorse, per colmare il divario in materia di occupazione, retribuzioni, pensioni e processo decisionale, eradicare la violenza di genere e aiutare le vittime e promuovere la parità di genere e dei diritti delle donne nel mondo, in primo luogo garantendo l’integrazione sistematica della dimensione di genere nelle politiche della UE.

 


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