Non è un bel momento per le donne. Una nuova ondata di maschilismo feroce e sempre più subdolo sta avanzando: dalla gogna mediatica, con gli insulti sui social, che stanno diventando un territorio infrequentabile per le donne, alle crescenti e mutevoli forme di violenza di genere, fino alla messa in discussione di diritti e spazi di libertà femminili che davamo per acquisiti una volta per sempre.

Come se, nel momento in cui le donne parevano finalmente avere la possibilità di lavorare non più per rivendicare il riconoscimento dei propri diritti, sanciti sul piano formale grazie a un impianto normativo realmente evoluto, ma per renderli effettivi ed esigibili, fossero respinte indietro.

Eh sì, perché in un tempo nel quale a essere messi in discussioni sono i fondamentali di uno stato diritto, non deve sorprendere che le prime a pagare un prezzo, come sempre davanti a ogni crisi, siano le donne.

Nel regno dell’ipocrisia politica dove sguazzano, la Lega e il M5S si stanno rendendo artefici di una riforma del diritto di famiglia che ricorda molto le battaglie sul divorzio e l’aborto, in direzione opposta e contraria: con il ddl Pillon, che da domani torna in commissione giustizia in Senato per volere esplicito del governo, delle donne e dei bambini si fa carne da macello. Lo dico davvero dal profondo del cuore, dopo aver per mesi studiato e approfondito: fermatevi.

Fatelo per i bambini prima di tutto, perché sono loro i primi a rimetterci tutto. In queste ore chiedo davvero coerenza a tutti quelli che in vario modo hanno criticato il ddl Pillon: il sottosegretario Spadafora ne aveva annunciata l’archiviazione, molte accuse sono arrivate da vari esponenti del movimento, eppure il ddl è ancora lì e la discussione riprende dai vecchi testi, sottoscritti da tutta la maggioranza, Cinquestelle inclusi.

Si tratta di un disegno di legge aberrante e pericoloso che sotto l’ingannevole principio della bigenitorialità (chi mai potrebbe dirsi contrario?) si rivela un testo ideologico in grado di ridisegnare un modello di famiglia che nega alle donne libertà e diritti ma che sopratutto calpesta interessi e diritti dei bambini.

Un testo inemendabile, immodificabile, impossibile da migliorare, che va solo ritirato. E per farlo abbiamo bisogno che qualcosa dentro la maggioranza si sgretoli, che di fronte alla voce forte e chiara delle donne, degli operatori, degli esperti, di tante figure autorevoli che hanno lanciato l’allarme, le coscienze individuali di singoli parlamentari abbiano uno scatto.

È un fatto di coerenza di chi in questi mesi nei corridoi ma talvolta anche pubblicamente ci ha detto che quel testo conteneva storture inaccettabili.

Il ddl Pillon è un attentato alla felicità, alle libertà individuali e al senso di giustizia. Promette dolore e disaccordi, e danni incalcolabili alle famiglie che scelgono, per varie ragioni, di vivere separate. I bambini non sono fatti per attraversare la loro fase di crescita con il trolley alla mano, vagando tra abitudini e adulti diversi, tra stili di vita e possibilità economiche spesso differenti, senza avere mai un centro di gravità permanente, per dirla alla Battiato. I bambini hanno bisogno di rispetto e cura, di essere riconosciuti, ascoltati e capiti, non strumentalizzati.

Perché è questa la grande truffa che c’è dietro il ddl Pillon: usare i figli come mezzo per riaffermare una sorta di nuova patria potestà o, nella peggiore delle ipotesi, per costringere le donne a rinunciare a scelte di libertà, come può essere quella di chiudere una relazione, persino quando violenta.

Il ddl Pillon parte dalla negazione di una condizione di disparità oggettiva che esiste nella società, considerato l’alto tasso di disoccupazione femminile e la tragica differenza di stipendi a parità di mansioni, per arrivare a pretendere di trattare in maniera identica situazioni di partenza tanto impari, compiendo sostanzialmente una gravissima discriminazione per legge.

Così come parte dalla totale negazione dell’esistenza del fenomeno della violenza sulle donne. Si tenta nei fatti di ridurre lo spazio di libertà e di azione femminile, facendole retrocedere per legge nei ristretti perimetri espressi dalla volontà del padre-padrone.

E per arrivare a questo obiettivo,che rappresenta bene la drammatica cifra culturale di questo governo, si è disposti a passare sopra il benessere dei bambini: penso alla possibilità agghiacciante, scritta nero su bianco nel testo, di sottrarre un figlio alla madre in caso di violenza in nome di una ipotetica l’alienazione parentale, che, non ci stancheremo mai di dirlo, continua a essere negata dalla comunità scientifica ma persiste nel ddl Pillon, e che, utilizzata già troppo spesso improvvidamente nei tribunali civili, sta provocando già danni enormi, come dimostrano recenti fatti di cronaca.

Siamo di fronte a una bestialità: non solo la donna non viene accolta e protetta ma addirittura giudicata e condannata fino a farle pagare il prezzo più alto, la sottrazione dei suoi figli che in nome di quel principio di bigenitorialità perfetta possono essere affidati anche solo in parte al padre violento.

Assurdo, ma è esattamente quello che vorrebbe legittimare e codificare il ddl Pillon. Se penso poi al caso di Bibbiano vedo l’ipocrisia di un governo che si scandalizza a parole, strumentalizza in modo aberrante una vicenda mostruosa che coinvolge minori sottratti ai loro genitori e poi promuove leggi dove i bambini possono essere messi in case famiglia, senza nemmeno essere ascoltati.

Sono la presidente della commissione Femminicidio, mio dovere è operare con tutte le forze politiche per combattere il fenomeno della violenza di genere e ho intenzione di continuare a farlo ma proprio il ruolo che ricopro mi porta a dire chiaramente: sul ddl Pillon nessuno sconto.

In questa battaglia sono dentro il Parlamento al mio posto ma anche fuori, in strada, con i cartelli e con le donne. Perché sono dalla loro parte e da quella dei nostri bambini. Semplicemente dalla parte giusta.


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