Tra le sfide più significative e complesse che questo tempo ci ha dato la responsabilità di affrontare c’è certamente la questione climatica e ambientale. La mozione di maggioranza votata ieri al Senato va collocata dentro questa fase politica in cui dobbiamo scegliere davvero per il futuro economico e sociale dell’Italia.

Troppo a lungo atteggiamenti e attitudini sociali e politiche miopi hanno lasciato che l’ambientalismo divenisse – almeno nel nostro paese, ma non solo – un punto di vista di parte, di nicchia.

Con il passare del tempo e con il susseguirsi di esperienze critiche se non traumatiche, con l’avanzare di ricerche e studi scientifici, con il crescere di una generazione più sensibile all’equilibrio tra abitudini di vita e ambiente, le cose hanno iniziato a cambiare.

Non abbastanza e non abbastanza velocemente, e soprattutto ancora in modo non abbastanza egemonico rispetto allo scenario globale, pieno ancora di negazionismi e atteggiamenti inclini allo sfruttamento estremo delle risorse naturali.

Non possiamo negare che dopo una fase molto promettente culminata con gli accordi di Parigi del 2015, il mondo ha di recente fatto passi indietro, sia nelle scelte di grandi paesi e importanti leadership, sia negli obiettivi operativi che insieme la comunità internazionale e ogni paese devono impegnarsi a realizzare – come dimostra la Cop25 di Madrid lo scorso dicembre, in cui non si è riusciti a definire impegni vincolanti per l’attuazione dell’accordo del 2015.

Eppure ci sono stati segnali positivi, a partire dalla mobilitazione dei giovani e giovanissimi, con il movimento Fridays for future che non solo ha saputo imporre all’agenda mediatica e politica un tema così decisivo, ma ha anche portato tante famiglie e tanti pezzi della società a maturare sensibilità maggiori e più voglia di attivarsi.

In questo scenario e in questa nuova attenzione sociale verso l’ambiente è arrivata poi la scelta della nuova Commissione europea guidata dalla presidente Von der Leyen di dare priorità all’ambiente e al clima, per “rendere l’Europa il primo continente a emissioni zero entro il 2050”, grazie a quel “Green Deal” che finanzierà economia pulita e circolare, tutela della biodiversità e riduzione dell’inquinamento, innovazione e tecnologie rispettose dell’ambiente, mobilità e trasporto sostenibili, decarbonizzazione.

Un piano concreto, in grado di mobilitare investimenti pubblici e privati per oltre 1000 miliardi di euro, per realizzare davvero la transizione energetica.

A queste scelte, avvenute all’insediamento della Commissione, sono seguite poi quelle successive all’esplodere della crisi sanitaria, con la presentazione della proposta di bilancio “Next Generation EU” e del Recovery Instrument di 750 miliardi di euro, per aiutare i settori maggiormente colpiti e rilanciare gli investimenti.

Nei tre pilastri del Next Generation EU, uno è quello diretto a sostenere le transizioni verde e digitale, sia nel sostegno agli Stati per investimenti e riforme verso la neutralità climatica, sia aiutando le imprese in difficoltà a causa della crisi sanitaria nella loro trasformazione verde.

In questi ultimi mesi di emergenza sanitaria e di reazione collettiva al coronavirus ci siamo trovati di fronte, come credo mai prima per nessuna emergenza vissuta dal pianeta, alla riflessione – non limitata solo ai contesti scientifici o all’impegno militante – di quanto sia sottile e fragile l’equilibrio con l’ambiente che ci circonda, e quanto non ci possa essere separazione tra noi che lo viviamo e lo spazio che ci ospita, che non si possa considerare contrastanti e opposti l’umano e il naturale.

Abbiamo visto la nostra vita di tutti giorni stravolta per un virus che – spiegano gli esperti – ha probabilmente trovato come passare dagli animali agli uomini anche grazie alla sovrapposizione di habitat e all’eccessivo sfruttamento che ci porta spesso a guardare al pianeta con un’ottica predatoria.

Abbiamo poi visto le nostre città e i nostri spazi di vita cambiare, in pochissimo tempo, riscoprendo come il silenzio, l’aria più pulita, la crescita di vegetazione anche laddove credevamo non potesse più accadere, il ritorno di animali e uccelli nell’acqua, nell’aria e nel verde intorno a noi, riguardino direttamente la nostra qualità della vita.

Tutto quello che facciamo, che ci accade – come risultato più o meno diretto delle nostre azioni e della nostra presenza nel mondo – influisce sull’ambiente in cui viviamo.

Certo, l’esperienza del lockdown ci ha anche messo di fronte al fatto che il miglioramento delle condizioni ambientali richiede un cambio radicale di abitudini, che va oltre quello che è lecito immaginare nel momento in cui l’obiettivo politico che occorre darsi è di far crescere opportunità e condizioni di benessere, riducendo così le disuguaglianze. Non possiamo scegliere strade al ribasso, non possiamo prendere direzioni di decrescita. Dobbiamo lavorare molto intensamente per una crescita più equa, più attenta all’ambiente, più sostenibile, più paritaria e con al governo del Paese persone con cultura politica della “cura” I CARE.

Si tratta di scelte concrete, si tratta di trovare il coraggio e la visione, di invertire la rotta di alcuni investimenti, di adottare politiche di crescita serie, innovative, sostenibili.

Se guardiamo ad esempio a quanto abbiamo speso come Paese tra il 1998 e il 2018 per riparare i danni del dissesto idrogeologico, scopriamo che arriviamo alla cifra di quasi 20 miliardi di euro (i dati sono del Cnr), a fronte di solo 5,6 miliardi di euro per opere di prevenzione. Basterebbe ribaltare queste cifre, dentro un serio piano di rilancio del Paese, per aprire una stagione del tutto nuova.

E d’altra parte quale migliore occasione di questa per ripensare nel profondo le dinamiche di crescita nazionali, europee e globali?

Ci troviamo in un solco della storia in cui necessità e opportunità possono unirsi dandoci l’occasione di rispondere in modo forte, efficace e nuovo allo scenario di crisi inedito e sconvolgente in cui ci siamo trovati.

Non lasciamoci cullare dalla comodità del pensare che tutto torni come prima, che il covid-19 abbia aperto una finestra temporale nelle nostre vite destinata a richiudersi velocemente, facendoci tornare – sebbene con gradualità – alle condizioni precedenti.

Dobbiamo invece uscire dalla crisi e accompagnare i mesi di convivenza con il virus che abbiamo di fronte cogliendo l’occasione per avviare una grande stagione di cambiamento sociale, che non può che vedere nell’ambiente e nella sostenibilità un asset decisivo, al pari dell’innovazione digitale.

Con un approccio che sappia determinare una nuova etica civica, un novo modo di pensare e agire come individui e come collettività, a partire proprio dalle scelte di governo e Parlamento.

Affrontare la sfida ambientale e climatica è una priorità cui in questo contesto dobbiamo saper dare nuova forza, anche rispetto solo a qualche mese fa.

Importante allora – strategica oggi più che mai – la scelta che ricordavo della Commissione di puntare sul green deal, cui si aggiungono strumenti come il Recovery fund e il Mes.

Sta ora a ciascun paese rivedere la propria strategia, assumere la sostenibilità come vettore trasversale di ogni nostra scelta di crescita e di redistribuzione, nel contesto delle misure Comunitarie e a partire da quanto definito dall’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, la piattaforma di cambiamento globale più ambiziosa e operativa che abbiamo a disposizione, i cui 17 obiettivi integrano gli ambiti economico, sociale, ambientale, di genere.

Serve allora, coerentemente con questa visione, che come Paese abbiamo sottoscritto, un piano di rilancio dell’Italia, che metta al centro il governo serio e trasparente della transizione ecologica e che sia realizzato con il maggiore dialogo possibile, tra le forze politiche presenti in parlamento, con tutti i soggetti di rappresentanza della società e coinvolgendo la comunità scientifica e il mondo della ricerca.

Un piano che pensi al lavoro, all’impresa, a un rilancio dell’economia che tenga conto delle nuove abitudini individuali e sociali che la crisi sanitaria ci lascerà in eredità.

Un piano che sappia definire un programma di crescita che ha cura dell’ambiente e delle persone, a partire dalle donne e dai giovani.

Un piano che riconosca che abitare il futuro richiede conoscenze e competenze, che la prima disuguaglianza da superare è quella dell’accesso per tutte e tutti a percorsi di istruzione e formazione di qualità, che anche per le sfide ambientali l’educazione è decisiva, per fare in modo che cittadine e cittadini di domani siano consapevoli, attenti, uniti in un senso di comunità che lega indissolubilmente persone e ambiente.

Il governo ha fatto e sta facendo molto, prima della pandemia per cambiare le priorità sociali del paese, poi per gestire l’emergenza sanitaria ed economica.

E già dalla sua nascita ha posto l’obiettivo di un green new deal italiano come centrale per questa fase e per i prossimi anni, puntando a inserire la protezione dell’ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale.

Ora – come positivamente riconosciuto dal Premier nel lanciare una collettiva discussione sul futuro – è il momento di compiere uno scarto, di accelerare e mostrarsi capaci di vincere la sfida che abbiamo di fronte, che chiama a responsabilità ciascuna e ciascuno di noi che abbiamo ruoli istituzionali o di governo. Dobbiamo tutte e tutti sapere che un green new deal – come già positivamente indicato dalle scelte dell’ultima legge di bilancio – non deve e non può essere solo un’agenda di impegni in chiave verde, ma deve essere un programma organico, sociale ed economico, che ha tra i principali obiettivi la decarbonizzazione dell’economia, l’economia circolare, la rigenerazione urbana e il miglioramento della qualità delle aree cittadine, il turismo sostenibile, l’adattamento e la mitigazione dei rischi idrogeologici, la riforestazione, la riduzione del consumo di suolo, la riduzione delle emissioni e il risparmio energetico, politiche fiscali di incentivazione green.

E dobbiamo avere la consapevolezza che si tratta di scelte politiche che interpretano, seguono, danno valore alla storia, alle competenze, alle esperienze, alla bellezza che caratterizzano il nostro territorio e la nostra comunità.

In questo quadro con la mozione votata in Senato abbiamo voluto impegnare il governo a riconoscere lo stato di emergenza ambientale e climatica e agire per mettere in campo risposte efficaci e rapide, dalla decarbonizzazione alla prevenzione del dissesto idrogeologico, dall’efficientamento energetico al sostegno all’economia circolare, dall’innovazione dei processi industriali, agricoli, del trasporto e dell’edilizia alla bioeconomia e al biodesign, dalla rigenerazione urbana alla tutela del paesaggio, dalla messa in sicurezza del territorio all’incentivazione di nuove abitudini di mobilità.

Il tutto andando a realizzare quell’obiettivo di inserimento del principio dello sviluppo sostenibile nella Costituzione e rendendo pienamente operativa la cabina di regia “Benessere Italia”, così da poter arrivare pronti – con un piano articolato, ambizioso e già avviato – all’appuntamento della Cop26 a Glasgow nel prossimo novembre.

Un appuntamento istituzionale che abbiamo l’occasione di contribuire a trasformare in un appuntamento con la storia e con il futuro.


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