Il senatore Francesco Giacobbe è afflitto dal jet lag. «Sono andato a letto presto ieri sera, ma alle undici mi sono svegliato e fino alle tre non ho più preso sonno», si scusa per giustificare il suo pallore. Trenta ore dura il suo viaggio da casa a casa, dalla periferia di Sydney al centro di Roma, passando per Dubai. Lo affronta una volta al mese, talvolta due. Dei diciotto deputati e senatori che dal 2006 vengono eletti all`estero, lui, insieme al collega della Camera Nicola Caré, è quello che viene da più lontano. Settantuno parlamentari hanno firmato per chiedere un referendum sulla riforma che taglia da 945 a 600 i seggi alla Camera e al Senato: Giacobbe è uno di loro. Si batte affinché non vengano ridotti da diciotto a dodici i seggi degli eletti all`estero. Ma che funzione svolge esattamente un senatore votato dai nostri emigrati?
SIAMO DIVENTATI APATICI
Le nove del mattino, piazza Sant`Eustachio, palazzo Cenci. Giacobbe è nel suo ufficio. È in Senato da sette anni, eletto nel Pd. Uno dei tanti peones che nessuno sente mai nominare. Ha 61 anni. Siciliano di Piedimonte Etneo, Catania. Si è trasferito in Australia per amore. Nell`estate del 1979 conosce la moglie, Maria Rosaria, figlia di emigrati che trascorrono le ferie in paese. L`anno dopo si sposano. Figlio di braccianti, iscritto al Partito comunista, a 18 anni a un convegno a Bari ha proposto di associare i giovani disoccupati in cooperative agricole. Pio La Torre è colpito dall`idea, lo incoraggia. Nel 1977 nel Catanese ne partono subito quattro. Sembra l`uovo di Colombo. Ma il 30 aprile 1982 la mafia uccide La Torre e Giacobbe va in crisi. «Mi offrirono dei posti nella Lega delle cooperative, a Bologna e a Roma. Rifiutai. Mia moglie era stanca dell`Italia. E così nell`ottobre dell`82 ce ne andammo in Australia».
Alle dieci il senatore è atteso dall`ambasciatore australiano e da trenta studenti laureandi giunti da Melbourne per un tour europeo. Che Italia ha trovato?, domandiamo passando davanti al Pantheon. «Sfiduciata. Non sono come la svedese della novella di Pirandello che vede nascere un capretto in Sicilia e che pensa di ritrovarlo tale e quale l`anno dopo. Ho mantenuto un legame. Però il senso di apatia mi ha colpito. Ai miei tempi c`era un`enorme coscienza politica, si discuteva di futuro. Ora prevale il sensazionalismo, l`invettiva, mancano grandi figure. In sette anni nessuno dalla mia Sicilia mi ha chiesto una collaborazione o un aiuto su un progetto. Il parlamentare non è più visto come un riferimento». Mentre cammina controlla la app che gli segnala lo stato degli incendi in Australia. «Il fuoco è a quasi due chilometri dalla nostra casa di campagna». Davanti agli studenti Giacobbe racconta la sua storia: «Dovete lavorare duro! » li incita. «Non sapevo una parola di inglese, mi sono laureato in economia e commercio e sono diventato docente universitario». Poi, con studiata teatralità dice: «L`Italia è bella, vero? Ma è una Ferrari che ha bisogno di essere guidata bene». Ai ragazzi la metafora pare convincente. Il suo collegio comprende quattro continenti, Asia, Africa, Oceania e Antartide, 300 mila elettori, dalla Cina agli Emirati. È mai andato in Antartide a salutare qualche elettore? «No», ammette. Che vita fa un senatore dei due mondi? I lavori d`aula durano appena tre giorni. E poi? «Beh, ci sono le commissioni, i convegni, bisogna studiare i provvedimenti. La parte più noiosa avviene in aula, dove ciascun senatore può ripetere lo stesso concetto all`infinito. Potremmo svolgere un ruolo di collegamento con le comunità emigrate. C`è una fame di made in Italy incredibile. Nel North Queensland persino le quarte generazioni sentono il legame delle radici. Ma poi è durissima riuscire a imporre dei temi concreti. Ho proposto di creare un network dei ricercatori emigrati: potrebbero nascere rapporti di collaborazione tra le nostre istituzioni e quelle straniere. Ho spinto molto per l`apertura nei mercati di Hong Kong e dell`Australia per i commercialisti. Nella legge di Stabilità avevo chiesto 2 milioni per l`insegnamento della lingua italiana nel mondo, mi hanno dato appena 500 mila euro».
VOGLIONO MORIRE ITALIANI
Perché fa questa vita? «È una soddisfazione politica per me tornare dopo tanti anni da parlamentare». È anche una questione economica? «Non scherziamo. Ci rimetto. La vita in Australia è carissima. Un caffé costa 4 dollari e mezzo, se vai a cena con la moglie ne paghi 100. Ho una società di consulenza fiscale che ho lasciato ai miei due figli maggiori, Davide e Daniele. Mi sono dovuto dimettere da docente. Prendo un`indennità di 4.600 euro, più 8.000-9.000 euro per vivere qui, ma sono legati alla diaria, ovvero alle presenze in aula: ci pago il vitto, l`alloggio, il collaboratore parlamentare, qualcosa ti resta, naturalmente. Ho preso in affitto un buco di venti metri quadri nei paraggi di Campo dei Fiori, la sera mi faccio delle grandi insalate. I viaggi aerei per l`Australia li paga il Senato. Mi manca la famiglia. I miei figli li ho educati all`australiana. A 16 anni hanno cominciato a finanziarsi le loro uscite, e a un certo punto, visto che avevano un reddito, gli abbiamo chiesto un contributo per l`affitto». Ci sediamo in un bar in piazza Capranica. Giacobbe si accende una sigaretta. «È capitato di atterrare a Sydney il sabato mattina e di ricevere un sms dal gruppo parlamentare che mi ordinava di tornare immediatamente perché c`era un voto di fiducia importante». Per molti giovani italiani l`Australia è la terra promessa. «Meglio partire con un visto di permanenza, perché collegato a una specifica richiesta di lavoro. E non farsi troppe illusioni. Non è affatto facile restare». Cosa le chiedono invece i vecchi emigrati? «Molti si sono naturalizzati e ora sono pentiti. Rivendicano la cittadinanza perduta. “Voglio morire italiano” t`implorano».


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