La violenza contro le donne è oggi la più grande e quotidiana violazione dei diritti umani. I reati contro le donne restano gli unici reati violenti in Italia a non conoscere crisi. I dati dell’ultimo rapporto Eures lo confermano in maniera chiara. Sono stati 142 i femminicidi nel 2018, in gran parte avvenuti in famiglia e per motivi legati a gelosia e possesso. Si calcola che siano oltre 3 milioni e mezzo le donne che hanno interrotto una relazione in cui subivano almeno un tipo di violenza fisica, sessuale o psicologica. Tra queste, le donne separate o divorziate sono più a rischio di subire violenza fisica o sessuale da parte dell’ex partner.
Già questi numeri rendono l’idea di quanto ampio sia il fenomeno. È vero che aumentano anche le denunce per violenza sessuale, stalking e maltrattamenti. Segno che gli strumenti messi a disposizione delle donne per denunciare funzionano meglio o, perlomeno, sono più conosciuti di qualche anno fa. Eppure, sappiamo che una parte molto consistente di episodi di violenza o di molestie, in casa o nell’ambito di un rapporto lavorativo, restano nell’ombra. A causa della paura delle conseguenze di una denuncia, anche a causa del giudizio sociale che ne può conseguire.
Se a ciò si aggiunge che in questi anni ad aumentare sono state soprattutto la gravità e l’aggressività delle violenze denunciate, ci ritroviamo con un quadro tanto preoccupante, quanto chiaro. Esso ci dice che la lotta alla violenza contro le donne non si fa con strumenti esclusivamente repressivi, come crede la destra della castrazione chimica e dell’aumento delle pene. Non illudiamoci che un fenomeno del genere si possa affrontare con un’impostazione parziale. Oggi, il vero nemico da sconfiggere sono pregiudizi e stereotipi diffusi nella società. Da qui originano gran parte delle discriminazioni che le donne subiscono, da qui nasce l’indifferenza, se non l’accettazione passiva della violenza contro le donne. Le politiche pubbliche dei prossimi anni devono avere un obiettivo chiaro: anzitutto, costruire un palinsesto culturale diffuso e condiviso che consenta alle donne come agli uomini di condannare, isolare e denunciare chi si macchia di atti di violenza di genere. II quadro normativo attuale è il frutto di sforzi comuni che affondano in anni di lotte difficili, in cui l’adulterio era considerato reato ed esisteva ancora il delitto d’onore. Oggi si sono fatti passi in avanti innegabili, grazie alle pronunce negli anni della Corte Costituzionale e alla Convenzione di Istanbul, che è stata decisiva. Nel 2009 è stato introdotto il delitto di atti persecutori (stalking); nel 2013 importanti novità quali nuove circostanze aggravanti, nuove misure coercitive e misure a garanzia dei diritti di conoscenza della vittima. Fino ad arrivare al nuovo statuto della vittima del reato introdotto nel 2015 e al più recente Codice rosso.
Questi i traguardi raggiunti, ma molto resta da fare sul piano dell’educazione e della formazione. Bisogna costruire un sistema multilivello, che parta dall’educazione al rispetto delle differenze, da una sana e corretta gestione dei sentimenti e delle emozioni nella relazione di coppia, e arrivi a prevedere una formazione speciali stica e culturalmente adeguata nelle università. Chi si trova ad aver a che fare con una donna vittima, sia un magistrato, un avvocato, un infermiere, un medico o uno psicologo, deve sapere cosa fare e soprattutto deve saper riconoscere la violenza, anche attraverso quei “reati spia” che molto spesso precedono gli episodi più gravi. È necessario scongiurare in maniera netta tutti i rischi di vittimizzazione secondaria che corrono le donne dopo aver trovato il coraggio di denunciare, ed è necessario monitorare puntualmente anche l’area al di fuori del penale, come quella delle separazioni, dove ci sono moltissime situazioni a rischio che oggi restano nell’ombra. Solo attraverso la formazione di tutti gli operatori si può rafforzare la rete di protezione alla quale le donne devono potersi rivolgere con serenità e certezza di essere accolte e non giudicate.
In pochi giorni sarà il 25 novembre, data in cui si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. La Commissione parlamentare contro il femminicidio e le violenze di genere ha deciso di dedicare questa giornata in particolare alle molestie sul lavoro che le donne subiscono e il 25 novembre si svolgerà in Senato una discussione istituzionale con la ministra Bonetti, studiose, rappresentanti di Confindustria e dei sindacati. Le discriminazioni più insidiose sono quelle che avvengono in ambito lavorativo perché colpiscono lo strumento più nobile e più forte per garantire emancipazione sociale e li bertà di scelta alle cittadine.
Stiamo lavorando per migliorare ancora il quadro. È recente l’impegno assunto da parte del nuovo ministro dell’economia Gualtieri, affinché venga emanato il regolamento necessario per accedere alle risorse destinate agli orfani di femminicidio, che tante famiglie attendono. Si tratta di risorse previste dal gennaio 2018, rimaste bloccate nell’ultimo anno e mezzo senza nessuna giustificazione.
Infine, la legge di bilancio che è in corso di discussione in Parlamento. Come Pd abbiamo messo a disposizione del Parlamento e del Governo proposte che ritengo importanti. Penso agli incentivi alle imprese per assumere donne vittima di violenza di genere, alle quali è fondamentale garantire il reale reinserimento nel tessuto sociale e nel mondo del lavoro. Ma penso anche alle risorse che abbiamo proposto di stanziare per rafforzare il Piano di azione contro la violenza sessuale e di genere; perché è inutile prevedere iniziative volte alla specializzazione degli operatori (come tra l’altro faceva il Codice rosso) senza destinare ad esse risorse certe su cui sostenersi. Vogliamo allungare il congedo di paternità da sette a dieci giorni, perché la lotta contro gli squilibri esistenti tra donne e uomini passa anche da una piena condivisione del lavoro di cura, degli oneri familiari e di crescita dei figli. Educazione e prevenzione rappresentano il solo modo per superare e sconfiggere stereotipi e pregiudizi. Sono convinta che questa debba essere la nostra bussola per il futuro, lungo una direzione di marcia che darà frutti quanto più legislatore, istituzioni, mondo dell’impresa, mondo del lavoro, delle professioni, dell’università dimostreranno di saper marciare uniti.


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