Caro direttore, strana nazione la nostra. Per anni c’è stata la rivendicazione di Mirko Tremaglia, allora Alleanza Nazionale, storico fondatore del Movimento Sociale, ministro per gli italiani all’estero. Alla fine il governo di centrosinistra nel 2000 realizzò il suo sogno: 12 deputati e 6 senatori a disposizione di questa «diaspora» italiana. Dando per scontato che questi abbiano le stesse opportunità per seguire con una certa attenzione le vicende nazionali e poterle giudicare coi voti in aula. Nello stesso tempo c’è una legge del 1912 che riconosce la cittadinanza italiana grazie al «diritto di sangue» senza limiti di generazione fatte salve alcune caratteristiche. Senza che alcuno di essi paghi alcuna imposta nel nostro Paese. Per inciso gli americani chiamano i cittadini semplicemente «tax payers». Però c’è chi obietta alla opportunità di dare la cittadinanza italiana a chi ha caratteristiche ben più pregnanti di queste. Appellandosi a una definizione che, in questo caso, non ha alcun senso. Politici e stampa continuano, non si sa se per scarsa conoscenza o deliberata manomissione, a definire la legge in Parlamento come «ius soli», cioè il diritto che deriva dal luogo di nascita, come esiste, per esempio, negli Stati Uniti. Un’informazione del tutto sbagliata. Da noi non esiste. E anche definirlo «ius soli attenuato» è fuorviante. La legge sulla quale si dibatte è molto chiaramente im insieme di norme per rendere più equa la concessione della cittadinanza. Non è una questione di denominazione o una disquisizione da Dottor Sottile medievale: infatti questa terminologia è usata con evidente cattiva coscienza dagli oppositori per banalizzare e distorcere una sostanza del tutto diversa. Si può essere in disaccordo, ma non è lecito truccare le parole: questa legge non risponde allo «ius soli». Punto e basta. Ci sono limiti, obblighi, tempi da rispettare. Ci ritroviamo nella comica situazione di quasi un milione di ragazzi che studiano da anni, magari nati pure qui, con genitori residenti da decenni, che non conoscono la lingua di provenienza, che usano non solo l’italiano ma soprattutto il dialetto locale e che allo stadio tifano per la squadra locale e per la nostra nazionale. Non solo ma la grande maggioranza è pure di fede cristiana (tanto per eliminare un altro equivoco propagandistico). Quindi questa legge non è sullo «ius soli» ma su nuove norme per la cittadinanza. Si può essere contrari, purché con onestà intellettuale. Il resto è politica, quella sgradevole che stanca tutti i cittadini, noi compresi.
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