Viviamo di più degli uomini, ma invecchiamo piene di acciacchi; ci curiamo meno degli uomini, ma usiamo più antidepressivi; il nostro è un cuore grande, ma è sempre più esposto a rischi, per non parlare dell’osteoporosi…
Che dire della salute delle donne, oggi che si celebra la prima giornata nazionale dedicata?
Innanzitutto che siamo mente e corpo, e che entrambe sono diversi da quelli maschili, anche se la sanità e la ricerca clinica e farmacologica pare non se ne siano ancora accorti: un ritardo che non stupisce in un Paese in cui la salute femminile è stata per lungo tempo legata alla sola sfera della riproduzione.
Per fortuna molte cose stanno cambiando, anche se la strada è ancora lunga e accidentata.
Finalmente si parla di medicina di genere, che non è la medicina delle donne, sia chiaro, ma è il riconoscimento delle differenze fisiche e psichiche fra uomini e donne. Si tratta di un approccio di genere, di un metodo clinico che va innovato.
Prendiamo il caso dei farmaci e dei trial clinici di sperimentazione: fino ad oggi la farmacopea è stata testata su corpi maschili, pur sapendo che le reazioni sui corpi femminili sono diverse, nella generalità, ovviamente. Il progresso tecnologico e scientifico va verso una sempre maggiore personalizzazione della medicina, si parla di medicina di precisione, l’attenzione all’individuo e alle sue peculiarità diviene centrale per la diagnosi e per la cura. La schiera di farmaci con innovazione terapeutica si estende con una velocità inedita: parliamo di farmaci che curano malattie finora ritenute incurabili, se non inguaribili: manca solo un piccolo passo, quello del riconoscimento delle differenze. E in questa direzione si sta andando.
E tuttavia è importante ritornare a riflettere anche sulla sfera riproduttiva. La scelta di essere o non essere madre passa per percorsi accidentati. Che ne è dei consultori come luogo di informazione e di presa in carico delle donne, e delle giovani donne, per la vaccinazione contro il papilloma virus, per la contraccezione, per l’interruzione di gravidanza, per la consapevolezza della propria sessualità, per la maternità? Scarsamente finanziati, con profili professionali incerti, i consultori sono e restano un servizio fondamentale per la salute delle donne e vanno ripensati nella loro funzione, vanno ridedicati nella loro missione pubblica.
I dati non sono confortanti se pensiamo alla applicazione della legge 194, al calo delle interruzioni di gravidanza per le italiane ma non per le donne straniere, segno di carenza di prevenzione e di mediazione culturale, o se pensiamo al crescente numero di obiettori di coscienza, problema questo che non riguarda solo le donne, ma anche i medici non obiettori, la cui professionalità non può consistere essenzialmente nell’esecuzione di aborti.
E poi la legge 40, con le sue crudeltà spazzate via nella pratica dalle sentenze della Corte costituzionale, ma non ancora nella norma: per questo in Senato è già incardinata la riforma della legge , e voglio ricordare ancora una volta che la maternità surrogata è già vietata dall’articolo 12 comma 6 della legge 40, senza bisogno di crociate e anatemi fuori tempo. Ricordiamoci ancora una volta che la procreazione medicalmente assistita serve a rispondere alla sterilità maschile e femminile, e che deve crescere la cultura del dono se vogliamo che la fecondazione eterologa si svolga secondo le regole che abbiamo stabilito con le linee guida e con l’istituzione del registro dei gameti presso il Centro nazionale dei trapianti.
Penso sarebbe ora di definire un nuovo percorso maternità, dal momento della scelta fino al post partum, con le sue depressioni.
Le morti materne vanno indagate, registrate e analizzate, per capire quali sono le costanti e le varianti di eventi che non sono necessariamente legati alla casualità! Per questo ho presentato un disegno di legge per l’istituzione di un Registro delle morti materne.
E il parto, un momento meraviglioso, va sempre più umanizzato e reso sicuro. La maternità non è una malattia, né lo è il venire al mondo, e dunque le donne devono poter scegliere le metodiche del parto: in ospedale, nelle case di maternità, in modo assistito in sala parto o in modo fisiologico. Ma soprattutto va combattuto il ricorso, in alcune parti d’Italia scandaloso, al parto cesareo anche se non ce n’è bisogno.
E c’è ancora molto da fare nel momento drammatico della violenza per intervenire sul il dolore fisico e sostenere quello dell’anima.
Invecchiamo e vogliamo cercare di convivere con l’età in modo sereno. Anche questo è salute delle donne: prevenzione e stili di vita, alimentazione e movimento sono la prima cura, e bisogna che impariamo ad avere più cura di noi, noi che siamo sempre oblative dobbiamo imparare a riservare ogni giorno uno spazio per noi.
Facile? No, difficilissimo. Eppure dobbiamo farcela, perché la dignità delle donne passa anche dalla dignità del nascere, del vivere e del morire. Buona salute a tutte noi.
P.S. Per vivere bene ci serve un buon Servizio sanitario nazionale, in grado di curarci tutte, in qualunque parte del nostro Paese, qualunque sia la nostra collocazione sociale, il nostro reddito, la nostra etnia.
L’universalismo della sanità italiana è questo: il diritto alla salute come diritto fondamentale, premessa di ogni medicina di genere, oggi e domani.


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