L’emergenza sanitaria ha messo a dura prova la coesione sociale e la tenuta delle istituzioni del nostro Paese. Un momento difficile, che ha fatto esplodere contraddizioni e approfondito le tante disuguaglianze purtroppo già esistenti. Le solitudini si sono fatte ancor più dolorose, le periferie – fisiche e morali – ancora più isolate e disperate. Allo stesso tempo, l’isolamento di questi mesi ha fatto forse riscoprire, a molte e molti di noi, il valore delle relazioni e della solidarietà. Ci ha fatto capire, ancor più in profondità, che il benessere materiale delle persone è strettamente legato alla loro libertà civile; e quanto sia importante che le istituzioni siano capaci di attenzione e prossimità verso le necessità di vita delle persone.

Per questo, ha molto senso ragionare sui diritti, proprio mentre ci affacciamo alla fase 2 e si fa più urgente una riflessione sulla ricostruzione.

Non c’è spazio per il benaltrismo: non ci sono problemi più o meno importanti, non è possibile suddividere la vita delle persone in compartimenti stagni. Il Paese riparte solo se si rafforzano le basi della coesione – le ragioni profonde del nostro stare insieme – e per fare questo bisogna riannodare il filo dei diritti, civili e sociali insieme. Se è il momento di immaginare un’Italia nuova, non possiamo dimenticare di ascoltare le domande di riconoscimento e inclusione sociale, per dare al nostro Paese un volto sempre più umano.

Non potrò dimenticare facilmente, di questi mesi, le centinaia di messaggi che ho ricevuto da persone disorientate, sole, incerte sul futuro. Non potrò dimenticare le donne costrette a rimanere in case segnate dalla violenza, le ragazze e i ragazzi LGBT+ costretti a nascondersi tra le quattro mura della loro stanza per poter essere sé stessi, le famiglie arcobaleno rese ancora più fragili e invisibili di fronte alla richiesta di un congedo parentale, o semplicemente alla impossibilità – per il genitore non riconosciuto, magari separato – di potersi spostare per visitare il proprio figlio o la propria figlia.

Così come non potrò dimenticare il grido di tante donne lavoratrici, con figli o senza, o il dramma dei lavoratori e delle lavoratrici non tutelati, divenuti ancora più deboli e poveri; l’esclusione ancora più dura di tutte le persone gettate ai margini della società in assenza del pur minimo riconoscimento dei loro diritti. Penso agli stranieri irregolarmente soggiornanti, alle e ai richiedenti asilo, ma anche alle detenute e ai detenuti, che hanno sofferto in maniera del tutto particolare le conseguenze dell’epidemia: solo in parte siamo riusciti a rimediare, anche grazie al nostro lavoro come gruppo PD in Commissione Giustizia al Senato, cercando di contenere il sovraffollamento e immaginando modalità alternative per i colloqui. Adesso è necessario assicurare in tempi rapidi la ripresa delle attività volte al reinserimento, per rimettere l’esecuzione delle pene detentive sul binario dell’articolo 27 della Costituzione.

L’emergenza sanitaria ci ha messo dunque davanti a uno specchio impietoso: ogni disuguaglianza che non siamo stati capaci di affrontare si è mostrata ai nostri occhi in tutta la sua durezza.

Un’immagine dolorosa, che interpella nel profondo la responsabilità della politica, ed in particolare il Partito democratico, che deve riprendere al più presto il percorso di ricostruzione della propria identità, anche e soprattutto in relazione ai diritti.

Non mancano segnali incoraggianti, certo.

Penso alla ripresa del cammino parlamentare della legge contro l’omobitransfobia, una battaglia che ci vede impegnati in prima linea, e sulla quale anche il nostro Segretario ha detto parole importanti. Ecco, è fondamentale lavorare sulla compattezza del Partito e dei gruppi parlamentari, che devono stringersi attorno al nostro Alessandro Zan, senza esitazioni e senza dubbi. Si tratta di una legge urgente e attesa da troppo tempo: parla di dignità delle persone, di riconoscimento, di inclusione e coesione sociale. Dobbiamo approvarla al più presto. E da questo risultato prendere slancio per raggiungere ulteriori risultati sulla strada dell’eguaglianza. Sono passati quattro anni dall’approvazione della legge sulle unioni civili: davvero il Partito democratico non ha nulla da dire sulle nuove tappe da costruire? Davvero non riusciamo ad esprimere una posizione sul matrimonio egualitario e sul pieno riconoscimento dell’omogenitorialità? Sono convinta che la nostra base – il nostro popolo – su questo abbia molte più certezze: ascoltiamole.

Penso poi alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri, frutto di un compromesso politico difficile, ma che ha dato un segnale chiaro di dignità e giustizia. Anche su questo, va riannodato il filo della discontinuità che ci ha spinto, quasi un anno fa, a dar vita a questo Governo: non dimentichiamo che i due decreti “insicurezza” sono ancora in piedi; non dimentichiamoci delle ragazze e dei ragazzi di seconda generazione che aspettano di diventare cittadini italiani, come è giusto che sia.

Ne va della fisionomia della nostra comunità politica. Ne va della nostra credibilità come forza politica. Ne va del futuro dell’Italia.

Non possiamo e non dobbiamo fermarci. Le sfide che la storia sta mettendo sul nostro cammino sono troppo importanti per continuare ad essere timidi. È ora di immaginare di nuovo, con coraggio e verità, l’Italia dei diritti, l’Italia giusta e solidale, l’Italia che non lascia nessuno indietro. E di farlo aprendo una grande discussione nel Partito e con la società: ci siamo dovuti isolare anche noi – solo in parte, perché il PD non ha smesso di lavorare un solo giorno per il Paese – ma adesso è il momento di aprire le finestre a far entrare la primavera, di aprire le porte e uscire.

Ci sono alcune battaglie che ci mettono dalla parte giusta della storia, anche – al limite – quando non siamo sicuri di poterle vincere: sono le lotte per la dignità e per l’eguaglianza, che qualificano l’identità e la proposta politica di un partito che, da sinistra, voglia costruire una chiara visione del futuro.


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