Reato umanitario: come capita non di rado, è stato il quotidiano «dei vescovi» a trovare la definizione più efficace, e moralmente e giuridicamente più intensa, per qualificare la colpevolizzazione delle Ong: e, nel caso specifico, della Jugend Rettet. Il che potrà indurre molti laici, anche solo per questa ragione, a schierarsi dalla parte della magistratura e dello Stato, quasi che gli orientamenti delle chiese e delle organizzazioni umanitarie fossero l`espressione di un profetismo antistatuale e anarcoide.
Altri, e io tra questi, vedono invece in quegli stessi orientamenti un`ispirazione, rigorosamente democratica e liberale, che si rifiuta di ricondurre l`agire umano e l`azione sociale nell`ambito esclusivo degli apparati istituzionali, delle loro norme e del loro ordine superiore.
È un`idea statolatrica, e tendenzialmente autoritaria, che i democratici e i garantisti non possono condividere. Se gli appartenenti a Jugend Rettet o l`equipaggio della sua nave – ma il pm di Trapani ha parlato solo di «alcuni membri» – hanno commesso reati, vengano processati e, qualora riconosciuti colpevoli, condannati.
Ma finora, dai dati conosciuti e dalle stesse dichiarazioni della procura – avrebbero agito «non per denaro» ma per «motivi umanitari» – si tratterebbe solo ed esclusivamente della realizzazione di un «corridoio umanitario». Così ha suggerito Massimo Bordin nella sua rassegna stampa su Radio radicale.
E a me sembra proprio che di questo si tratti. Uno di quei rarissimi «corridoi umanitari» che possono consentire ingressi sicuri in un`Italia e in un`Europa, dove tutti gli accessi legali risultano ermeticamente serrati.
E, dunque, si può dire che fatte salve l`indiscussa buona fede della magistratura e la necessità di attenderne le conclusioni – siamo in presenza, sul piano della pubblica opinione e del senso comune, di uno degli effetti della campagna di degradazione del ruolo e delle finalità delle organizzazioni non governative, in corso da mesi. E delle conseguenze di un processo – se possibile ancora più nocivo – di svilimento di alcune categorie fondamentali come quelle di salvataggio, soccorso, aiuto umanitario. Questo è il punto vero, il cuore della controversia in atto e la vera posta in gioco morale e giuridica. E, per ciò stesso, politica.
Dunque, e torniamo al punto di partenza, la falsa rappresentazione da cui guardarsi oggi è quella che vedrebbe uno schieramento, definito «estremismo umanitario», utopistico e velleitario (e tanto tanto naif), e, all`opposto, un fronte ispirato dal realismo politico e dalla geo-strategia, tutto concentrato sul calcolo del rapporto costi-benefici. Ma, a ben vedere, quest`ultimo mostra tutta la sua fragilità. Davvero qualcuno può credere che sia realistica e realizzabile l`ipotesi di chiudere i porti? E di attuare un «blocco navale» nel mare Mediterraneo?
Cosa c`è di più cupamente distopico dell`immaginare che la missione militare, appena approvata dal Parlamento italiano, possa essere efficace in un quadro segnato da un`instabilità oggi irreparabile, come quella del territorio libico e del suo mare?
Se considerato alla luce di questi interrogativi, il reato umanitario di cui si macchierebbero le Ong rappresenta davvero la riproposizione, dopo un secolo e mezzo, di quelle fattispecie penali che precedettero la formazione dello stato di diritto. Reati senza vittime e privi di quella offensività e materialità che sono i requisiti richiesti dal diritto contemporaneo: il vagabondaggio, l`anticlericalismo, il sovversivismo, la propaganda antimonarchica.
Di questi comportamenti, il reato di altruismo rappresenta una sorta di forma disinteressata («non per denaro») e ispirata dalla obbligazione sociale e da quel senso di reciprocità che fonda l`idea contemporanea di comunità e di cittadinanza.


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