Gli accadimenti di questi giorni sembrano smentire la massima di Karl Marx per cui “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Ai miei occhi infatti, la crisi attuale dell’eurozona causa Coronavirus, appare riproporre in maniera più drammatica, lo scenario della crisi greca del 2015. Rivediamo riproporsi in questi giorni quel blocco nordico che già si era profilato durante la crisi greca.

Le registrazioni delle riunioni dell’Eurogruppo rese pubbliche in queste settimane da Yannis Varoufakis hanno il merito di rivelare con limpidezza la durezza delle posizioni dell’allora presidente dell’eurogruppo, l’olandese Djisselbloem, e del ministro delle finanze tedesco Schauble. Non solo le proposte greche venivano sistematicamente rigettate ma, spesso, non erano nemmeno prese in considerazione. Ricordiamo del resto che Djisselbloem era quello per cui i paesi mediterranei “non possono spendere soldi in alcool e donne e poi chiedere sostegno”. Questo era il profilo culturale di alcuni dei protagonisti di quella fase.

Avendo svolto all’epoca un ruolo di mediazione in quanto presidente del Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, posso testimoniare come da parte greca vi fosse una sincera volontà di raggiungere un accordo. Ma alla volontà di intesa del lato greco, Schauble e Djisselbloem risposero con una aggressività tanto punitiva quanto sconcertante, arrivando addirittura a proporre il trasferimento dei principali assets pubblici greci ad un fondo di investimento presieduto dallo stesso Schauble.

Allora facevo la spola tra i vertici delle istituzioni europee e il premier greco Tsipras per trovare una soluzione che non mettesse la Grecia fuori dalla moneta unica e non posso dimenticare i momenti più drammatici in cui si interrogava il leader ellenico sulla serietà dei suoi impegni e per converso non si riusciva a scardinare la chiusura teutonica dei leader nordici. La stessa aggressività è oggi presente nelle drammatiche discussioni a livello europeo di queste ore.

Una personalità solitamente moderata quale il Primo Ministro portoghese Antonio Costa ha definito “disgustosa” la posizione del ministro delle finanze olandese Hoekstra che, proprio nel momento in cui Spagna e Italia si battono, in termini per certi versi eroici, contro l’ondata di morte del Coronavirus, ha richiesto alla Commissione europea di aprire una indagine sulla gestione dei bilanci pubblici negli ultimi anni nel nostro paese e in Spagna. Ma la ferma posizione di Costa dimostra anche che, a differenza della crisi greca del 2015, la risposta all’offensiva tedesco-olandese è oggi più strutturata.

Bisogna riconoscere con onestà intellettuale che nel 2015, all’epoca della crisi greca, non si riuscì a costruire quel fronte progressista e mediterraneo che ha in se stesso la forza politica, per non dire il dovere morale, di opporsi alla strategia tedesco-olandese. E in questo la posizione pilatesca francese giocò un ruolo negativo.

La lettera firmata da nove capi di stato e di governo lo scorso mercoledì rappresenta invece un oggettivo salto di qualità per due ragioni. La prima è per la forza dei firmatari: dal Portogallo, all’Italia passando dalla Spagna, all’Italia, e presente la Francia, finalmente prende forma un blocco politico mediterraneo che da solo è in grado di rappresentare un centro di gravità anche per Paesi come l’Irlanda. Un blocco politico ed economico visto che insieme rappresenta più del 60% del PIL della Zona Euro. La rappresentazione di una “Europa dei ricchi” a guida tedesca contrapposta ad una “Europa improduttiva del Sud” è perciò falsa. E ai primi nove se ne sono aggiungi altri cinque per lo più di area balcanica.

La seconda ragione dell’importanza di questo blocco sta nella qualità della proposta che non si limita ad essere “negativa”, cioè di opposizione alla Germania e ai suoi satelliti, ma è anche positiva, in quanto suggerisce una via di uscita dalla crisi attraverso l’emissione di strumenti di debito a livello europeo. Nei prossimi giorni sarà fondamentale consolidare questo asse. Rispetto alla crisi greca, sarà cruciale essere più coraggiosi ed assertivi e non accettare i soliti compromessi al (nostro) ribasso che la Cancelliera tedesca proverà a proporci.

Da parte italiana c’è la giusta consapevolezza. La fermezza in questi giorni di Mattarella, Conte e Gualtieri ma anche il grido d’allarme lanciato da eminenti personalità, Prodi, Sassoli, Letta, persino il grande vecchio Delors, segna la drammaticità del momento storico, del bivio tra la vecchia Europa e la nuova Europa, che potrebbe finire per diventare un mero coordinamento intergovernativo, lontano non solo dal sogno federalista ma anche dall’attuale integrazione dell’Unione.

Ne va della nostra tenuta economica, sociale e democratica. La diminuzione del Pil italiano per il 2020 è quotata dagli analisti tra l’8.5% e l’11.4% e l’esplosione della disoccupazione tra il 35% e il 50%. L’intervento pubblico a sostegno delle imprese e dei settori strategici e della protezione dei più vulnerabili non può essere dei 50/60 mld in questa prima preventivati grazie allo scostamento dal Patto di Stabilità. Gli Stati Uniti definiscono un pacchetto di stimolo fiscale che vale il 9.5% del prodotto interno lordo americano. In Cina, il piano di stimolo è stato già lanciato in proporzioni ancora più vaste. Per l’Italia servirebbe un rilancio da 200mld di euro, una cifra ben lontana da ciò che ci consente lo scostamento dai vincoli del bilancio. O l’Europa lo capisce per tempo e si cambia ora e davvero, oppure tutto potrebbe crollare.


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