Servono maggioranze certe. Non basta il ritocco del Porcellum: le larghe intese non possono diventare la norma
Tra governo e maggioranza, alla fine, «si troverà una soluzione» sul ddl costituzionale che istituisce il comitato dei 40 per le riforme: «L’emendamento Bruno è comunque inaccettabile perché è ambiguo e in questo modo aprirebbe la porta ad incursioni imponderabili sugli assetti della magistratura, che devono tassativamente rimanere fuori dal perimetro delle riforme. Ma il problema del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e VI della Costituzione va affrontato, tant’è che noi abbiamo i nostri emendamenti…». Anna Finocchiaro, la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, auspica dunque che lo scoglio posto sulla rotta delle riforme dal Pdl venga aggirato al più presto. Ma poi non nasconde che sotto la cenere delle larghe intese covi ben altro: «il Pdl non deve scordare che dobbiamo mettere subito in sicurezza la legge elettorale perché se si interrompe il percorso delle riforme, non si può tornare alle urne con il Porcellum. Davanti a un’eventualità del genere, tutti i partiti ci rimetterebbero le penne».

Quella del Pdl è stata una proposta indecente, una provocazione?
«Non so se dentro il Pdl c’era qualcuno che voleva andare alla prova di forza sulla giustizia che poi è un loro tratto identitario. In ogni caso, è una strada impraticabile perché l’accordo politico dal quale siamo partiti comprende solo forma di Stato, forma di governo e bicameralismo. Per altro, questo emendamento illustrato in commissione dal collega Bruno è stato presentato come necessario perché, per esempio, se si introducesse il semipresidenzialismo poi bisognerebbe modificare anche altre parti della Costituzione».

Il problema tecnico legislativo esiste, dunque.

«Esiste. Però, siccome la formulazione dell’emendamento Bruno è troppo lasca e quindi lascia un’ambiguità sul perimetro delle competenze del comitato, io avevo già presentato un emendamento che pure risolve il problema del coordinamento derivante dall’approvazione dei testi di riforma costituzionale sui tre punti. I colleghi del Pd ne hanno presentato un altro. Con i nostri emendamenti, contrariamente a quello di Bruno, non ci sarà possibilità di equivoci e ambiguità. Anzi, è nostro preciso dovere fare in modo che il testo sia chiarissimamente descrittivo di una competenza che non va oltre forma di Stato, forma di governo e bicameralismo. Sceglieremo un emendamento, lo formuleremo insieme in commissione».

Sulla legge elettorale invece siete ancora d’accordo con il Pdl che arrivi come atto conseguente delle riforme?

«Io non mi stancherò mai di ripetere che dobbiamo metterci in sicurezza rispetto allo scenario in cui, malauguratamente, si interrompa il percorso delle riforme e si torni a votare. Non è che bisogna mettere in sicurezza il Porcellum rispetto alla sentenza della Corte costituzionale, come vorrebbe qualcuno ma, piuttosto, è necessario mettere in sicurezza il Paese rispetto al fatto che si torni a votare con una legge elettorale che non assicura la governabilità. Noi abbiamo bisogno di una legge elettorale che sia una cintura di sicurezza per il Paese».
Legge elettorale e riforma costituzionale devono andare avanti parallelamente?
«La legge elettorale di garanzia è competenza delle commissioni permanenti di Camera e Senato e non rientra nel percorso del comitato che, invece, ha il compito di fare la legge elettorale conseguente alle riforme. Noi abbiamo bisogno di una legge elettorale di scorta, subito».
Senza il Pdl, però, il dibattito in commissione non può partire.

«Mi sembra che su questo punto ci sia una certa ostilità da parte del Pdl. Ma nostro però non è un capriccio. Perché se torniamo al voto con il Porcellum la gente arriva con i forconi in mano, anche in casa del Pdl. Quindi è interesse di tutti cambiare la legge elettorale, magari iniziando a ragio-narci prima della pausa estiva».

Perché il Pdl non vuole mandare in soffitta il Porcellum?

«Per loro un ritocco al Porcellum andrebbe bene. Ma questo sistema che non produce un vincitore, che non fa scegliere gli eletti, che consegna maggioranze non omogenee a Camera e Senato, non va bene. Non possiamo mica pensare che le larghe intese siano il modulo per il governo del Paese nei prossimi 10 anni. Non è un Paese normale quello che ha in sé un sistema elettorale che genera le larghe intese invece di indicare chi vince e chi perde».

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