Penso al Natale di quando ci si sentiva come i semi dentro la zolla, nel magico solstizio della civiltà contadina, al caldo idillio pastorale che teneva lontane, per una notte, le gelide folate della quotidianità e della Storia. Per essere in pace bastava rimettersi al provvido rito della nascita e al conforto dei segni celesti, confusi nella solidale, seppur minima, comunità del presepe. Secondo i poveri quella capanna nuda e sperduta era il segno che Gesù nasce rifiutato, fuori da tutte le leggi costituite e, nondirado, persino contro; era l`avviso che si viene al mondo in maniera insieme dolorosa e provvidenziale.
È vano l`astratto privilegio di nascere poveri, scaldati soltanto dal fiato di una natura che ci ama. Torna alla mente una frase del filosofo ebreo Abraham Heschel: «Dio non può farcela da solo. Per realizzare il suo sogno deve entrare nel sogno dell`uomo e l`uomo deve poter sognare i sogni di Dio. Ma perché tutto non si risolva in una vaga illusione, Dio deve continuare a sognare il sogno dei poveri». Il Vangelo, credo volesse dire, è un messaggio da rinnovare continuamente, perché riflette il volto dalle nostre azioni; e nulla può separarci dalla nostra attualità, neppure l`infinito di Dio.

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