“Ci viene richiesto di lavorare come se si trattasse di scrivere su una lavagna ancora bianca, procedendo a una interpretazione del nostro Regolamento, che, è bene ricordarlo, non prevede nessuna norma ad hoc sulla decadenza”. Così si è espresso Francesco Russo, senatore del Pd, durante la lettura della sua relazione in Giunta del Regolamento a Palazzo Madama.
“Credo, che le norme consentano di assumerci la piena responsabilità di proporre il voto palese in modo forte e trasparente. E lo credo – ha proseguito Russo – innanzitutto perché esiste un precedente: il parere reso dalla Giunta per il Regolamento del Senato il 6 maggio 1993 nei confronti di Giulio Andreotti. Se in quel caso la giunta sancì che, le delibere in materia di autorizzazione ai sensi dell’art. 68 Cost. non sono votazioni incidenti sulla persona, credo che a maggior ragione debbano essere considerate tali ed effettuate a scrutinio palese tutte le delibere aventi ad oggetto le proposte della Giunta delle elezioni in materia di verifica dei poteri, fra cui la decadenza: queste, a mio giudizio, non attengono allo status del singolo parlamentare coinvolto, bensì alla regolare composizione dell’Assemblea e, quindi, dell’organo nel suo complesso – ha sottolineato Russo.
Non si discute – né tantomeno si vota – sulle qualità o le caratteristiche personali del singolo, ma soltanto sulla legittimità del procedimento elettorale – ha continuato Russo.
“Alle medesime conclusioni, peraltro, si perviene analizzando le norme che disciplinano i lavori della Camera dei deputati. L’art. 2, comma secondo, del Regolamento della Giunta delle elezioni precisa, infatti, che «le votazioni in materia di verifica dei poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza non costituiscono votazioni riguardanti persone». Esse sono svolte pertanto a scrutinio palese.
Concludo con un richiamo che credo possa rassicurare anche chi tema che con questa interpretazione si rischi di uscire dal solco dei principi fondamentali del dettato costituzionale da cui derivano anche quelli legati al funzionamento delle Camere. Aldo Moro, in Assemblea Costituente, presentò un emendamento contro il voto segreto che conteneva il rifiuto a “consacrare costituzionalmente questo strumento di votazione che ha già dato luogo a tanti inconvenienti, poiché da un lato tende a incoraggiare i parlamentari meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee e dall’altro tende a sottrarli alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale”.
Onorevoli colleghi – ha concluso Russo – dobbiamo cogliere l’opportunità per rafforzare la credibilità dell’istituzione in cui operiamo per provare a riannodare alcuni dei molti fili spezzati negli ultimi anni fra gli italiani e i propri rappresentanti”.

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