«’Lo faccio perché non succeda ad altri’. Lo aveva scritto Carolina Picchio, la ragazzina vittima della rete che era stata mia alunna alle medie. Ed eccoci di nuovo. Di fronte a questa tragedia, la terza con le stesse caratteristiche, non faccio che pensare a quelle sue parole. Aveva ragione lei». Elena Ferrara è senatrice del Partito democratico e di Carolina era stata insegnante alle scuole medie ad Oleggio, provincia di Novara. Da allora conduce una battaglia in parlamento contro il cyberbullismo e ha presentato un disegno di legge che sarà discusso in commissione affari istituzionali in questi giorni.
Senatrice Ferrara, con il padre di Carolina avete cominciato un percorso. Da dove partire per affrontare un argomento tanto complesso?
 «Ci vorrebbe una unità di crisi permanente, ed è un pensiero che mi accompagna da quella notte, quando tutta Novara è rimasta sconvolta dalla vicenda di Carolina, la prima vittima del cyberbullismo. Quest`anno c`è stato il caso della ragazzina di 14 anni in Veneto, Nadia. Da quel grido di solitudine lasciato da Carolina è cominciato questo percorso di ricerca e monitoraggio nel mio ruolo di referente per il cyberbullismo all`interno della commissione diritti umani del Senato».
Quali sono i principi a cui si ispira il suo disegno di legge?
 «Gli strumenti giuridici a tutela dei minori e dei loro dati sensibili sono fondamentali, e il testo prevede un primo ammonimento ai gestori perché rimuovano un post ritenuto lesivo. Nel caso in cui ciò non avvenga sarà il Garante ad intervenire obbligandoli a farlo. Gli strumenti giuridici esistono già, ma per affrontare il fenomeno alla radice pensiamo che si debba partire dalle scuole. Ogni istituto dovrebbe avere un referente formato a disposizione di studenti, genitori e insegnanti. I ragazzi devono sapere a cosa vanno incontro quando pubblicano una foto o raccontano aspetti della loro privata su un social network. Un gesto irreversibile, in pochi minuti il giro del mondo. A Novara abbiamo lavorato molto e i ragazzini cominciano a parlare, a denunciare. Il testo prevede un aiuto a chi si rende protagonista di gesti di cyberbullismo. A volte si tratta di ragazzini che un minuto dopo si pentono o che non si rendono conto dei danni fatti. Per loro c`è un ammonimento prima che si arrivi al processo penale».
Chi partecipa a quest`unità di crisi permanente?
«Deve essere un tavolo interministeriale. L`intento non è sanzionatorio, ma formativo, educativo e preventivo. Sono coinvolti il ministero dell`istruzione, interno, lavoro, giustizia, politiche sociali, sviluppo economico. Serve la presenza della polizia postale, già molto attiva. Al testo hanno collaborato associazioni come Telefono Azzurro. Ma perché sia efficace non si può prescindere dalla partecipazione dei provider, dei produttori e dei gestori della rete, che facciano filtro».
Come possono essere coinvolti i produttori?
«Sappiamo che i ragazzini insistono allo sfinimento per avere un cellulare. Si dovrebbe pensare a uno smartphone che sia child-friendly, configurato per non consentire l`accesso a siti per adulti. Con un marchio di qualità per i produttori che aderiscono».
Si può parlare di emergenza in Italia?
«Dalla ricerca realizzata da Ipsos per Save the children leggiamo che i due-terzi dei minori italiani riconoscono nel cyberbullismo la principale minaccia sui banchi di scuola, nella propria cameretta, sul campo di calcio. Negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel resto d`Europa il fenomeno è un`emergenza già da dieci anni. Noi siamo in ritardo nell`utilizzo della rete ma il nostro svantaggio si può tradurre in un vantaggio: possiamo giocare d`anticipo».

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