«Sono sei i punti sui quali
cercheremo di migliorare iI testo». Tutti
essenziali, oppure quanti ne bastano
per avere il vostro sì? «Non c`è una soglia
minima e ci aspettiamo collaborazione
da parte del governo». Massimo
Mucchetti, senatore del Pd, pianta i paletti
dei dissidenti sulla riforma del Senato,
all`inizio di un`altra settimana decisiva.
Senatore, quali sono i sei punti?
 «C`è il riequilibrio numerico tra Camera
e Senato. Ho visto con piacere che
Matteo Richetti non si scandalizzerebbe
se í deputati dovessero scendere a
50o. Sarebbe meglio arrivare a 315 ma
capisco che il meglio può essere nemico
del bene. Poi c`è la formazione del
Senato, che deve essere eletto dai cittadini
e fra i cittadini. Poi ancora, e arriviamo
al terzo punto, le competenze
del Senato».
Non siete per il superamento del
bicameralismo perfetto?

«Certo che lo siamo. Ma alcune
competenze devono rimanere in capo
al Senato, ad esempio sui diritti civili e
religiosi o sui poteri di inchiesta. Per
esempio, il governo dovrebbe rendere
conto al Senato delle nomine nelle
grandi società a partecipazione statale.
Abbiamo chiesto al ministro dell`Economia
e al presidente del Consiglio di
riferire sulle valutazioni che hanno fatto
in merito alla gestioni di Eni, Enel,
Finmeccanica, Terna e sulle nomine dei
rispettivi consigli d`amministrazione.
Oggi nicchiano violando la regola. Domani
tacerebbero legittimamente».
 Sull`immunità qual è la linea?

«Va limitata solo all`esercizio delle
funzioni parlamentari dei senatori se
eletti. Per capirsi, nessuna estensione
automatica ai consiglieri regionali che
dovessero entrare nel Senato. Poi c`è
l`allargamento della platea chiamata ad
eleggere il capo dello Stato. Bene coinvolgere
i parlamentari europei ma ancora
meglio se alla Camera si unisse un
Senato eletto. L`ultimo punto, invece, è
il fiscal compact: occorre togliere l`obbligo
del pareggio di bilancio».

Ma cosa c`entra con la riforma del
Senato quel patto europeo che, appunto,
ci obbliga a tagliare il debito
pubblico?

«Il pareggio di bilancio l`abbiamo
messo nella Costituzione e qui di riforme
costituzionali si parla. Un Paese che
all`Europa chiede più flessibilità non
può tenersi in Costituzione la rigidità».

Il premier dice che bisogna chiudere
presto al Senato per poi aggiustare
il tiro alla Camera.

«Non capisco perché rinviare a domani
quello che puoi fare oggi. Non
volevamo essere veloci?».
 E il referendum finale proposto dal
ministro Maria Elena Boschi?

«Benvenuta fra noi, sono due mesi
che lo chiediamo. La vedo distratta, del
resto: dice che il numero legale viene
garantito dalla maggioranza e da Forza
Italia. Le vorrei ricordare che venerdì è
stata proprio Forza Italia a non partecipare
al voto sul decreto competitività e
a votare contro il calendario accelerato
dei lavori, passato con solo 5 voti di
scarto grazie ai cosiddetti dissidenti
del Pd che ogni giorno vengono insultati
da Renzi».
Renzi dice che lei, Mineo e Chiti
non avete mai preso un voto.

«Il premier ha la memoria corta.
Chiti è stato il miglior governatore della
Toscana, è un parlamentare di lunga
esperienza. Di voti ne ha presi tanti.
Quanto a me ho fatto il capolista al Senato
su richiesta del Pd. Non ho chiesto
nulla, ho lasciato il lavoro che amo e se
questo è il ringraziamento…».

Dica la verità, ha avuto la tentazione
di partecipare alla marcia sul Colle
di giovedì scorso.

«No, i parlamentari del Pd, anche
quelli senza tessera come me, fanno
valere le proprie ragioni senza ostruzionismo».
 Ma è stato un errore quella marcia?
«Non la sopravvaluterei. In passato
anche il Pd e i suoi progenitori non ci
sono andati leggeri».


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