Il relatore al Senato: nel ddl stabilità solo un anticipo, il governo stabilirà criteri per accorpamenti e chiusure
«Io ritenevo giusto introdurre sanzioni per gli amministratori che non chiudono le partecipate inutili, ma il governo ha chiesto di togliere quella previsione promettendo una normativa ad hoc nei primi mesi del 2015 nella quale commisurare le sanzioni a criteri legittimi e oggettivi che saranno fissati per un riordino complessivo del sistema: ora aspettiamo il provvedimento del governo». Giorgio Santini (Pd), relatore della legge di stabilità al Senato, racconta come mai alcune misure introdotte con emendamenti per una stretta sul tema delle partecipate pubbliche siano poi state addolcite nel testo finale della finanziaria.

Santini, si ordina la chiusura delle circa 2.800 partecipate in cui ci sono più manager che dipendenti, ma non ci sono sanzioni per gli amministratori pubblici che non lo fanno. Nel testo finale della legge di stabilità, poi, non c`è la soppressione delle partecipate con meno di 100mila curo di fatturato: come mai questi passi indietro?
 «Di fronte ad un emendamento passato, che introduceva criteri per la soppressione di società che erano evidentemente più dependance illegittime dei politici che soggetti utili ai cittadini, io come relatore del ddl stabilità ho fatto mio l`emendamento e l`ho fatto passare. In sede di revisione, da parte del governo credo sia stato fatto un ragionamento: è stata accettata la norma di per sé sufficientemente chiara, cioè quella che prevede la chiusura delle partecipate che hanno più amministratori che dipendenti, mentre immagino che sia stato ritenuto opportuno un approfondimento sulle altre questioni».

Il riordino delle partecipate potrebbe entrare nella riforma Madia della Pubblica amministrazione?
 «È possibile, visto che la legge delega non è ancora chiusa, e se fosse così noi al Senato, dove la legge delega è ancora in discussione, saremmo ben contenti. Ma si potrebbe anche prevedere un provvedimento autonomo, nel caso in cui il governo dovesse decidere di non sovraccaricare troppo la riforma della pubblica amministrazione. Quello che so è che questa normativa complessiva sulle partecipate dovrebbe comunque essere presentata nei primi mesi del 2015, in primavera: è questo che ha detto Renzi più volte. Io ho registrato queste affermazioni e ho ritenuto che fosse giusto, su questa promessa, lasciare le questioni meno chiare ad una regolamentazione organica, che è necessario introdurre perché i tempi sono maturi, anche politicamente».

Il fatto che non siano state introdotte sanzioni per la chiusura delle società che hanno più manager che dipendenti, non fa temere un flop della misura?
«Io condividevo l`introduzione di sanzioni, e sono certo che saranno introdotte, anche perché altrimenti la macchina resta impantanata. Ma immagino che il governo voglia prima introdurre dei criteri precisi e certi per stabilire quali società vadano legittimamente chiuse o accorpate, in modo da poter definire l`entità delle sanzioni, che devono essere commisurate alle violazioni commesse dagli amministratori».

Al di là dei casi limite di cui abbiamo parlato, esistono delle partecipate molto grandi, con migliaia di dipendenti, spesso assunti più per motivi assistenziali che per reali esigenze dell`azienda. Un recupero di efficienza passerà anche per una riduzione dei costi sul personale. Lei è stato sindacalista: pensa sia un passaggio ineludibile?
 «Questo è uno degli aspetti più difficili e consiglia molta attenzione. Prima o poi il nodo va sciolto. Bisogna favorire le aggregazioni – soprattutto nei settori dei grandi servizi, delle reti, del gas anche prevedendo l`apertura ai privati. Buona parte dell`occupazione può essere indirizzata su queste operazioni. Ma dove ci sono esuberi, bisogna gestirli. Su questo punto, il Jobs act dà una mano perché introduce strumenti utili, quali i sussidi di disoccupazione, ma anche i percorsi di riqualificazione e reinserimento lavorativo. È pur vero che poi ci vuole lo sviluppo, perché senza una seria ripresa della crescita, questi nodi sono più difficili da affrontare. Se il 2015, come tutti auspichiamo, finalmente farà registrare un segno più sul Pil, possiamo avere qualche chance in più per avviare processi di riforma, anche delle partecipate, perché i percorsi di riqualificazione e ricollocazione possono avere una prospettiva concreta. Serve, inoltre, che ripartano anche gli investimenti privati, che comprensibilmente si concentrano sulle società che danno profitti. La scommessa da vincere è che i privati entrino anche nei settori meno remunerativi in cui il profit va costruito: lo si può fare attraverso buoni contratti di servizio, ma anche con le aggregazioni, recuperando efficienza con le economie di scala».

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