‘Non è più tempo di memoria, essa attarda il presente e ritarda il futuro, si dice. A tale processo, che ha qualcosa di mostruoso ha messo mano chi, avendo dell’esistenza e della storia un sentimento quotidiano indistinto vorrebbe liberarsi di ogni responsabile precedente. Toglierci la memoria significherebbe privarci di gran parte dell’identità e offrire alla storia l’alibi di un’innocenza che non ha mai avuto, non ha ed è bene non abbia neppure domani. Essere nuovi tutti i giorni deve pur costare qualcosa, compresi i ricordi. Certo, compito del dopo e spiegarsi il prima e ciò implica un’estrapolazione non soltanto politica della vicenda collettiva. Un Paese democratico e laico ha il dovere anzitutto di giudicare se stesso, ha il dovere solenne della razionalità, unito a quello ancora più grave della responsabilità’. Lo ha detto il senatore del Pd Sergio Zavoli nel suo intervento in Aula.

‘Come disse un giudice di Noriberga – ha proseguito Zavoli – mai l’uomo aveva rinnegato così tanto se stesso, mai con tanta determinazione e ferocia. Ora per giunta la storia non trascina più le cose con antica lentezza, ma sembra farle correre con noi. Ma un uomo è un uomo è un uomo per quello che la storia gli ha aggiunto o gli ha tolto. La memoria è ciò che ci permette di esistere e di esprimerci: essa, scrive Borges, è la nostra coerenza, il nostro sentire e il nostro agire, senza il ricordo non siamo nulla, non resta che aspettare una sorta di amnesia finale che cancella una vita intera. Settant’anni fa un’avanguardia dell’Armata Rossa entrava nel campo di Auschiwitz. Il filosofo Adorno scrisse che non sarebbe stato più possibile scrivere una poesia e credo che avesse ragione quando si pronunciava contro l’estetizzazione della sofferenza, giudicandola un modo di trasferire i contenuti dentro la cornice dell’enfasi anziché del nudo giudizio’.

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