Di festa o di lotta? Ci siamo chieste in questi giorni. Oggi dico sicuramente di lotta, provocatoriamente di festa. Di riconoscimento: altrimenti la festa non viene bene e la lotta rischia di indebolirsi. E di denuncia. Perché sono tanti, troppi, i segnali pericolosissimi e inquietanti che si stanno moltiplicando intorno a noi e se non riusciamo a coglierli tutti insieme, allora sarà proprio la complessità del reale, non solo le donne, a soffrirne, a restarne invischiata e indebolita.
Occorre prendere parola in ogni luogo per denunciare il modo in cui la violenza contro le donne si sta moltiplicando, complice troppo spesso anche una scena politica che ormai pare quasi esclusivamente maschile, caratterizzata da prove muscolari e machismo istituzionale, dove le donne rischiano di essere considerate solo in funzione della loro fedeltà al capo e relegate a ruoli ancillari.
Occorre prendere parola in ogni luogo anche per spronare le donne ad essere concretamente dalla parte di altre donne, con coraggio. Perché troppo spesso è più comodo essere solidali con le sole parole ma concretamente non trovare mai le giuste motivazioni per sostenere una donna. E questo non deve accadere per il bene di noi tutte.
Ancora ieri due tremendi delitti di genere a poche ore da uno stupro di gruppo in un ascensore di una stazione ferroviaria, il che chiama in causa la enorme responsabilità della collettività, tutta.
Perché il rischio peggiore è abituarsi alla notizia, perdere di empatia, rimuovere il giorno successivo. E questo non possiamo permetterlo. Abbiamo tutti una grande responsabilità e la politica non è innocente.
Limitarsi a rincorrere pene e punizioni non è sufficiente. Lavorare per rafforzare tutta la rete a disposizione per sostenere e tutelare le donne è un obbligo civico. La violenza contro le donne si contrasta con azioni concrete e con risorse a sostegno di quelle azioni. Risorse negli ultimi tempi dirottate altrove e cancellate. Un fatto gravissimo che circoscrivere al solo dato economico è un errore di valutazione perché dà la misura di un arretramento politico e culturale di portata enorme, che sta causando distorsioni altrettanto enormi.
La violenza contro le donne non è solo una questione giudiziaria, è violenza di genere. E una politica che taglia risorse al piano nazionale anti-tratta e al fondo per le pari opportunità e non rifinanzia i Centri anti-violenza è una politica contro le donne. Una politica che non stanzia un euro in più di quanto già deciso mentre nel frattempo non eroga nemmeno le risorse a disposizione è una politica contro le donne. Una politica che non implementa il fondo per le vittime dei reati né per il Piano nazionale anti violenza, è una politica contro le donne.
Per la prima volta in cinque anni, lo voglio ricordare, non vengono aumentate le risorse rispetto agli anni precedenti. E l’attuazione del Piano nazionale antiviolenza, che noi avevano impostato come una vera e propria strategia pubblica nutrendolo di contenuti ad amplissimo raggio, è di fatto ferma.
La politica non può limitarsi solo a legiferare. Deve sostenere, concretamente e dovunque, le donne. Svolgere, per prima, quell’antica funzione pedagogica che le è propria. Dire basta alla violenza non basta. Occorre praticarlo. Anche attraverso il linguaggio opportuno, l’assenza di pregiudizio, il rispetto costante.
Perché è ancora troppo viva nelle nostre menti la strumentalità con la quale capi di movimenti politici appiccicavano etichette aberranti a donne nel mondo della politica e non solo. Bene l’inasprimento delle pene ma c’è un piano sul quale siamo tutti chiamati a lavorare. Nessuno escluso. Un piano culturale che è patrimonio delle future generazioni. E si esercita anche sui mezzi di comunicazione, laddove molto spesso violenza verbale e psicologica trovano terreno fertile. Questi sono gli impegni che la politica deve assumere. Non solo a parole. Buon 8 marzo a tutte e a tutti.


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