I dati e le analisi in materia di parità di genere in Europa indicano come si sia ancora a metà nel cammino per raggiungere l’uguaglianza.

Di particolare interesse appaiono le indicazioni contenute nei Rapporti sull’indice dell’uguaglianza di genere dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), agenzia autonoma dell’Unione europea, sulla base di un indice che prende in considerazione sei diversi settori (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute).

Nell’ultima edizione del Rapporto, pubblicata nel 2015, tale indice medio, nell’Unione europea (UE-28), è pari a 52,9, nell’ambito di una forbice compresa tra 1 e 100 (dove 1 indica un’assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere). Un elemento significativo è la fortissima differenza degli indici dei singoli Stati membri, che vanno da un minimo di 33,7 (Romania) ad un massimo di 74,2 (Svezia), elemento che attesta come gli Stati membri abbiano prestato storicamente una diversa attenzione al raggiungimento degli obiettivi della parità.

Ancora negativa è la posizione dell’Italia, che con un indice di 41,1 si attesta al 20° posto. Tuttavia, va messo in rilievo che l’Italia è tra i dieci Stati membri i cui indicatori mostrano un trend positivo nei periodi di tempo considerati (dal 2005 al 2012). In cima alla graduatoria spiccano i Paesi scandinavi, con valori superiori a 70, mentre il Regno Unito ha un indice di 58, la Francia di 55,7, la Spagna di 53,6 e la Germania di 55,3.

A livello mondiale, secondo l’analisi annuale del World Economic Forum sul Global Gender Gap, nella graduatoria diffusa nel 2016, l’Italia si colloca al 50° posto su 144 Paesi. L’indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell’economia, dell’istruzione e della salute. Anche in questa graduatoria spiccano i Paesi del Nord Europa (Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia e Irlanda); per quanto attiene agli altri Paesi europei, la Slovenia si colloca al 9° posto, la Germania al 13°, i Paesi Bassi al 16°, la Francia al 17°, il Regno Unito al 20° e la Spagna al 29° posto.

Le analisi relative al tema, di fondamentale importanza, della partecipazione al lavoro delle donne indicano come la situazione negli Stati membri dell’Unione europea sia molto variegata. In alcuni casi, una quota elevata delle donne lavora, ma per un numero di ore relativamente basso; in altri Stati, la partecipazione femminile è inferiore, ma, una volta nel mondo del lavoro, le donne tendono a lavorare con orari lunghi. Relativamente pochi Stati membri riescono a coniugare elevati tassi di occupazione femminile con un basso divario di genere in termini di numero totale di ore lavorate.

Le misure adottate dagli Stati membri sono state intese, in alcuni casi, ad aumentare la disponibilità di strutture per l’infanzia e a modificare la normativa sui congedi parentali o le modalità di orario di lavoro flessibile. Meno numerose sono


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