Ci sono immagini che raccontano molto di più dei fatti che ritraggono. Quella dell’abbraccio tra il premier canadese Justin Trudeau e il Sindaco di Amatrice, città martoriata dal terremoto, è destinata probabilmente a dire dei rapporti presenti e futuri tra Italia e Canada assai più di tanti discorsi e dichiarazioni ufficiali.
Dietro quell’abbraccio serrato non c’è solo emozione ma anche una solidarietà concreta e il desiderio di esprimere una vicinanza politica, storica e culturale.
Non può passare inosservato che Justin Trudeau sia stato l’unico tra i grandi del G7 a prevedere una sosta e un incontro con la popolazione tra le macerie delle nostre città colpite dal sisma. La cosa è tanto più notevole se si considera che l’ultimo incontro tra i grandi della terra tenuto in Italia (all’epoca era un G8 comprendendo la Russia) si tenne proprio all’Aquila e fu quella l’occasione per annunciare grandi iniziative comuni per meglio fronteggiare le catastrofi naturali e ambientali. Oggi la sensibilità sul tema appare assai mutata soprattutto se si guarda ai risultati del vertice di Taormina durante il quale, soprattutto per iniziativa dell’amministrazione Trump, sono stati rimessi in discussione gli obiettivi di sostenibilità ambientale raggiunti a Parigi durante la Conferenza COP 21.
La visita di Trudeau ad Amatrice assume dunque anche solo per questo un significato politico e una indicazione di controtendenza che non deve passare inosservata e che, in vista del prossimo G-20 in Germania – dedicato in larga misura ai temi ambientali – appare un segnale di speranza in un contesto generale per altri versi piuttosto desolante.
La sfida, terribilmente impegnativa, è quella di riuscire a conciliare obiettivi di crescita dell’economia e di utilizzazione delle risorse minerarie – come risulta dalla decisione contestata da alcuni gruppi ambientalisti di espandere la Trans Mountain Pipeline – e obiettivi di controllo dei cambiamenti climatici.
Certamente l’attenzione al dramma delle popolazioni dell’Italia Centrale è il risultato di una visita assai ben preparata, oltre che delle eccellenti relazioni diplomatiche tra i due paesi (va riconosciuto il grande contributo portato dall’Ambasciatore Gian Lorenzo Cornado, fino a pochi mesi fa nostro rappresentante ad Ottawa e oggi Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri Alfano) ma è anche il frutto di una sintonia profonda tra i due popoli. Justin Trudeau non è giunto a portare solo una testimonianza della sua personale solidarietà, con quella carica di passione umana e genuinità che lo hanno reso rapidamente uno dei politici più popolari a livello mondiale, ma anche il frutto di una solidarietà concreta da parte della popolazione e delle istituzioni canadesi.
Sono oltre 2,8 milioni di dollari quelli che sono stati raccolti attraverso una serie impressionante di iniziative canadesi a favore delle zone terremotate metà dei quali offerti direttamente dal Governo Federale, dalla Provincia dell’Ontario, del Québec e dalla città di Montreal. Una gara di generosità a cui hanno risposto le numerosissime comunità italiane raccolte sotto l’egida della Federazione Nazionale degli Italo-Canadesi, con il sostegno anche del locale Comites, del Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi, e dell’Associazionismo locale a cui si aggiungono molti contributi di singoli cittadini.
Come si spiega questo straordinario sforzo di generosità? In realtà tendiamo spesso a dimenticare che in Canada vivono oltre 1.500.000 italiani (più dell’Abruzzo o del Friuli V.G. o dell’Umbria, Basilicata e Molise considerate insieme), una comunità profondamente attiva e radicata e capace di esprimere anche rappresentanti dell’élite industriale e finanziaria (Sergio Marchionne ne è forse l’esempio più noto). Profondi e ininterrotti sono gli scambi culturali ed economici e grandi sarebbero le possibilità, non sempre adeguatamente coltivate, di intensificarli e rafforzarli. Non si capisce proprio per quale ragione mentre il Regno Unito, la Francia, la Spagna, il Portogallo e persino la Germania siano state in grado di costruire reti di relazioni durature e privilegiate con i propri conterranei oltre oceano, l’Italia su questo terreno appaia sempre smemorata e poco attiva.
I motivi per rafforzare la vicinanza e una partnership strategica con il Canada appaiono oggi però ancora più urgenti alla luce delle politiche perseguite dalle superpotenze Stati Uniti e Russia in primis: rigetto del multilateralismo, rincorsa a nuovi armamenti (sorprendente Trche quasi nessuno abbia commentato gli accordi di Trump per 110 miliardi di dollari con l’Arabia Saudita in larga misura destinati a spese militari), protezionismo commerciale (rigetto dei trattati NAFTA e TTP, blocco dei negoziati TTIP con l’Unione Europea) costruzione di muri fisici o giuridici verso i flussi migratori.
Da questo punto di vista la politica di Trudeau, che non ha esitato a presentarsi personalmente ad accogliere i migranti siriani, dimostra che è possibile un approccio diverso e più lungimirante rispetto ad una delle grandi sfide sistemiche che ci attendono. “Non basta chiudersi in se stessi e sperare che il problema non appaia sulle nostre coste” ha dichiarato recentemente. “Dobbiamo far sì che i migranti non pensino che l’unica opzione per loro e i loro figli sia quella di affrontare rischi terribili e lasciare il loro paese”.
Le strategie a sostegno dello sviluppo dei paesi d’origine della migrazione non sono semplice buonismo come vengono caricaturalmente dipinte dai loro detrattori, ma politiche attive e lungimiranti dalle quali cercare soluzioni win-win cioè soluzioni con reciproci vantaggi. Ciò senza mai dimenticare che società multiculturali, come quella che si sta realizzando in Canada, sono società più resilienti, cioè società dove sono maggiori le capacità di vedere i problemi da prospettive differenti e dunque di trovare soluzioni più durature ed efficaci ai grandi problemi e alle grandi sfide del nostro tempo. Perché in ultima analisi il grande compito che oggi si pone ai leader progressisti come Trudeau, Macron e Renzi è quello di aiutare la gente che si sente esclusa dal progresso. La parola progresso a molti di loro incute timore, sfiducia, rischio di essere tagliati fuori dal futuro, minaccia di essere superati e resi inutili da nuove tecnologie, nuovi attori geo-politici, nuove complessità per le quali non sono preparati e dai quali bisogna dunque difendersi.
Ancora una volta una sfida tra il coraggio e la paura, tra chi cerca il mare aperto e chi lo teme. Non basteranno a convincere coloro che si sentono tagliati fuori i sorrisi e le strette di mano ma politiche concrete e misurabili. In questo leader come il neo-eletto presidente francese Macron, Trudeau e Matteo Renzi hanno molto da scambiarsi e da lavorare insieme e dall’esito (spero dal successo) del loro tentativo molte conseguenze discenderanno non solo per i loro paesi, ma per l’equilibrio mondiale.
Benvenuto Mr. Trudeau!


Ne Parlano