«La più importante e forse l`unica legge di vita dell`umanità intera». Così Dostoevskij definisce la compassione: quella capacità, cioè, «di estrarre dall`altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione». Dunque, l`umanità e la sua essenza morale, come com-passione: avvertire la sofferenza dell`altro, ancor più se causata da altri uomini e, soprattutto, quella indirizzata verso minoranze comunque stigmatizzate. È significativo, in questo senso, come ricorda Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, che per una delle più grandi tragedie della storia umana, quale l`Olocausto, l`indifferenza di quanti sapevano o avrebbero pótuto sapere abbia rappresentato una delle condizioni determinanti per la realizzazione di quel progetto criminale. E che proprio questo silenzio di fronte al dolore altrui abbia determinato una vera e propria degradazione della coscienza collettiva ( non solo in Germania ); al punto che – secondo Jaspers – la stessa dignità avrebbe imposto ai tedeschi di «vedere chiaro sulla questione della nostra colpa», perché nessuno si sarebbe potuto ritenere estraneo a quella responsabilità. Del resto, la reazione a quest`indifferenza e ai totalitarismi che l`hanno indotta, unitamente ai principi di libertà, eguaglianza e démocrazia è stata una delle ragioni fondatine del progetto europeo e dell`idea di Europa espressa dal Manifesto di Ventotene. La tutela dei diritti e, in particolare, della dignità umana; la salvaguardia delle minoranze, della democrazia e del pluralismo sarebbero quindi state sancite nei Trattati, quali obiettivi della Comunità prima e dell`Unione europea. Il ripudio dell`indifferenza è assurto quindi, dopo Lisbona, a elemento qualificante non solo i rapporti interni all`Unione, ma anche le sue relazioni esterne. Significativamente, l`art. 67 del Trattato sul funzionamento dell`Unione europea affianca alla solidarietà tra gli Stati membri l`equità rispetto ai cittadini dei Paesi terzi, come principi essenziali ai quali la politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne deve ispirarsi. Questo non ha impedito, tuttavia, tante morti tra quanti – nel tentativo di raggiungere le nostre coste – hanno voluto credere a quelle promesse di solidarietà. E ancora una volta l`indifferenza o una colpevole inerzia sono stati i sentimenti prevalenti di fronte all`ecatombe di corpi che il Mediterra- neo ci ha restituito. E che non ha impedito, e nemmeno contrastato, politiche pubbliche ( non solo nazionali) basate su una visione meramente contabile della questione migratoria, la cui complessità è stata ridotta a un`equazione tra quote di ingresso, costi di sussistenza e numero di espulsioni. Vengono in mente le parole di Federico Caffè: «Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l`assillo dei riequilibri contabili»1 E, allora, il parallelismo qui suggerito tra Shoah e strage di migranti e profughi non intende negare, in alcun modo, le differenze profondissime tra queste due tragedie. Piuttosto, intende sottolineare un elemento comune a entrambe e talmente significativo da risultare ctualificante: la violazione, radicale e massiva, della dignità; di quel ‘diritto ad avere diritti’ di cui parlava Hannah Arendt. Potrà dirsi in un caso dolosa e nell`altro colposa; in uno commissiva e nell`altro omissiva: eppure, in entrambi si è deciso che il destino di altri uomini sarebbe stato «quello di non avere più destino alcuno» (Lejbowicz ). E in entrambi i casi si sceglie – con minore o maggiore consapevolezza – di restare inerti dinanzi a una simile reificazione di persone colpevoli solo di non appartenere alla ‘razza ariana’; odi essere nate dalla parte sbagliata del mondo. Dunque, l`indifferenza è davvero la parola chiave. Per quanto diversi per entità, ampiezza e natura, tanto il genocidio degli ebrei quanto le stragi nel Mediterraneo hanno rappresentato, con quell`indifferenza che li ha circondati, crimini che «non si possono punire né perdonare». Ed è stata proprio l`incommensurabilità di questi crimini rispetto alle pene conosciute dai nostri codici e il bisogno di reagire all`indifferenza ad aver suggerito una diversa idea di giustizia, capace di ricomporre comunità lacerate più e prima che di irrogare sanzioni. Da questa idea di giustizia si dovrebbe, allora, ripartire per reagire all`indifferenza, soprattutto in quell`Europa che alla ‘ingiustizia legale’ di cui parlava Radbruch, ha voluto opporre la solidarietà, i diritti e la dignità.

Il testo introduce il fascicolo Il peccato dell`indifferenza con contributi di Grasso, Boldrini, Lerner, Manconi, Portelli, Segre, Terracina, Woldeghiorgliís, frutto degli incontri promossi dalla Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato.

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