Oggi è fondamentale che lo sviluppo sostenibile, attento alla dimensione ambientale e sociale, diventi qualcosa di più che un espediente retorico, e che la transizione sia impostata con forza mettendo in campo tutti gli strumenti normativi, finanziari e tecnologici. Può essere una grande opportunità per un nuovo sviluppo, come sostenuto da Nicholas Stern: «Le sfide della lotta ai cambiamenti climatici e alla povertà, sono intimamente legate: se falliamo in una, non avremo successo nell`altra». Ma non solo: «Se gestiremo in modo intelligente il cambiamento climatico, avvieremo una creativa e innovativa rivoluzione energeticoindustriale. La transizione verso la lowcarbon economy guiderà la storia della crescita nel corso dei prossimi decenni». I governi non hanno quindi bisogno, come ha detto Renzi, di fare un compromesso tra crescita e lotta ai cambiamenti climatici. Al contrario. È in questo contesto che si svolgono i negoziati della COP21, discussioni in cui l`Italia ha una voce autorevole: siamo tra i pochi Paesi che hanno rispettato gli impegni di Kyoto, abbiamo ridotto, infatti, dal 1990 ad oggi, le nostre emissioni del 23%, produciamo da fonti rinnovabili un terzo dell`energia consumata, ed un impulso forte al mandato negoziale con cui l`Europa si presenta ai tavoli di Parigi è stato dato dalla nostra presidenza dell`UE. Numeri che ci permettono di stare nella discussione con grande dignità e di spingere per un accordo vincolante e completo, possibilmente anche oltre il traguardo dei 2 gradi centigradi, che sia costantemente monitorato e aggiornato e coinvolga tutti. E un obiettivo a portata di mano? Si, se ‘i grandi’ mostreranno la capacità di essere concreti e di utilizzare la politica per costruire mediazioni intelligenti e realiste. Gli ostacoli che abbiamo davanti sono quelli di sempre: in primis il rapporto tra obblighi ambientali e diritto allo sviluppo. Centrale è la ripartizione degli obblighi tra Paesi Industrializzati e Paesi in via di sviluppo (PVS), con i secondi che accusano i primi di aver prodotto il riscaldamento globale negli anni passati e non vogliono rinunciare al proprio sviluppo che, per essere guidato verso un sentiero di sostenibilità, necessità di trasferimenti tecnologici, finanziari e scientifici da parte degli altri Paesi. Un nodo da sciogliere obbligatoriamente se vogliamo arrivare a un successo. Servono realismo e intelligenza per un accordo, e una soluzione può essere trovata nelle modalità di differenziazione degli impegni che i vari Stati dovranno assumere.
I Paesi industrializzati avranno senz`altro oneri maggiori dei PVS per garantire che il loro diritto allo sviluppo non contrasti con gli obiettivi di lotta e adattamento al global warming, mettendogli a disposizione strumenti finanziari, trasferendo know how e tecnologie. Allo stesso modo però va chiesto ai PVS un impegno di responsabilità, trasparenza e lealtà: devono contribuire anche loro a vincere questa sfida, offrendo un contributo sensibile alla lotta al riscaldamento climatico, che altrimenti rischia di essere vanificata. E dovranno farlo con impegni precisi, monitorati e visibili. Sosteniamo quindi al tavolo del negoziato una ‘differenziazione dinamica’, che permetta di ridefinire obiettivi e contributi dei vari Paesi considerando il percorso dei PVS verso l`industrializzazione.
È infatti probabile che alcuni di quei Paesi, nei prossimi anni, raggiungano un livello di sviluppo tale per cui potranno assumersi oneri finanziaria loro volta, ed allo stesso modo è chiaro come questi non possano essere esclusi ogg. dagli obblighi visto che Cina e India, ad esempio, sono tra gli Stati che più inquinano a livello globale. Il negoziato ha un solo esito possibile: l`accordo.
La responsabilità oggi è della politica: abbiamo tutto quello che serve per una svolta, le risorse economicae, tecnologiche, le competenze, quello che manca, e che oggi devono mostrare di avere i leader riuniti a Parigi, è la volonU politica.

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