È ORMAI DIVENUTO UN LUOGO COMUNE PARLARE DI UNA RIPRESA PER L`ECONOMIA ITALIANA attesa a cavallo tra la fine dell`anno e l`inizio del prossimo. Sembra tutto scontato. Ma non è così. Le possibilità di ripresa appaiono legate, oltre che all`evoluzione dell`Eurozona, a una serie di scelte importanti di politica economica che il governo sarà chiamato a effettuare nei prossimi mesi.
 La prospettiva di una ripresa dietro l`angolo ha indotto molti a rilassarsi sulla fase che stiamo vivendo. Eppure, moniti preoccupanti sulle prospettive della nostra economia continuano ad arrivarci da molte parti, e non solo dall`estero. Ultimo, in ordine, di tempo il Bollettino della Banca d`Italia, uscito la scorsa settimana. La fotografia offerta da tutte queste analisi è realistica e preoccupante allo stesso tempo: l`economia italiana ha operato un intenso processo di aggiustamento fiscale, in tema di contenimento del deficit e avanzo primario, ma il prezzo pagato è altissimo in termini di recessione, deindustrializzazione e aumento della disoccupazione. I mercati finanziari sono rimasti negli ultimi tempi in posizione di vigile attesa, ma sono pronti a mobilitarsi, anche in tempi brevi, qualora queste condizioni dovessero perdurare e deteriorarsi.
Ciò significa che tempi e intensità di una possibile ripresa non sono affatto scontati. Dipenderanno, oltre che dall`Europa, dalle scelte e misure di politica economica che verranno messe in atto dal governo da qui ai prossimi mesi. Al riguardo, tre fondamentali.
 La finanza pubblica, innanzi tutto. Siamo tornati tra i Paesi virtuosi nel rapporto deficit-Pil ma rimaniamo in cima alle classifiche dei paesi più indebitati (debito oltre i1130% rispetto al Pil). C`è inoltre il rischio, a causa della maggiore recessione e degli ingenti impegni di spesa e/o rinvio di imposte già assunti (Imu e Iva), di uno sforamento del nostro disavanzo, oltre il 3% del Pil. Per evitare le sanzioni previste dal nuovo Patto di stabilità Ue, non si potrà procedere, come si è fatto finora, una misura alla volta. Magari, limitandosi a negare fino all`ultimo la necessità di una manovra correttiva.
 È necessario che il governo arrivi a esprimere una visione d`insieme nella sua politica di bilancio, proiettando un sentiero di equilibrio a medio termine, che sia il frutto di scelte coraggiose e lungimiranti fra entrate e spese da mantenere e/o rivedere, tra cui devono figurare anche operazioni di smobilizzo di «asset» del patrimonio pubblico. D`altra parte è il modo più efficace per negoziare a Bruxelles e dare fiducia a chi deve investire in Italia.
 Una visione d`insieme è necessaria anche per generare ricadute positive sugli andamenti della domanda finale (consumi e investimenti), una seconda fondamentale macro area d`intervento della politica economica. La domanda interna è in forte contrazione e negli ultimi due anni ha più che compensato il contributo positivo alla crescita proveniente dalle nostre esportazioni. Sostenerla è una sorta di imperativo categorico per avere qualche possibilità in futuro di agganciare la ripresa internazionale. Oltre alle scelte di finanza pubblica, in questo caso il problema chiave è come assicurare maggiore liquidità e credito alle imprese, che stanno chiudendo a migliaia per mancanza di prestiti bancari adeguati (credit crunch).
Le risposte efficaci possono essere due: la prima è pagare in breve tempo non solo quanto già preventivato, ma tutti i debiti arretrati delle pubbliche amministrazioni, oggi stimati intorno a 100-120 miliardi di euro. Lo si può fare con una accorta gestione del sistema di garanzie e dell`aumento che si produrrà sullo stock di debito. La seconda è far ripartire i prestiti alle imprese (e famiglie) riattivando canali bancari e/o canali di finanziamento alternativi a quelli bancari. Al riguardo le proposte non mancano, ma serve una capacità di iniziativa e una regia complessiva che solo il governo – al pari di quanto sta avvenendo in altri Paesi europei – è in grado di offrire.
Non c`è tempo da perdere. In gioco, d`altronde, c`è la possibilità di sopravvivenza di migliaia e migliaia delle nostre imprese, anche delle più sane. È in corso una sorta di profonda erosione della nostra base industriale. Cercare di fermarla rappresenta la terza area d`intervento ed è fondamentale per agganciare la ripresa di cui tanto si parla. È vero che molte nostre imprese hanno risposto bene alla crisi, si sono rinnovate e internazionalizzate. Ma il loro numero è esiguo e nel loro insieme non rappresentano – ad essere ottimisti – più di un quarto del sistema produttivo. Il resto delle imprese, ovvero la maggioranza, versa tuttora in gravissime difficoltà come testimonia il fatto che dall`inizio della crisi abbiamo perso i115% del nostro manifatturiero e il 25% della produzione industriale.
 Servono processi di riconversione e ristrutturazione Siamo tornati tra i Paesi virtuosi nel rapporto deficit-Pil ma restiamo tra quelli più indebitati produttiva su larga scala. Le misure necessarie per favorirli sono molteplici, ovviamente, ma è fondamentale varare delle politiche industriali, rivolte alla produzione e alla ricerca, che aiutino le nostre imprese a aggregarsi, a innovare, a internazionalizzarsi. Servirà anche in questo caso una forte iniziativa e un disegno complessivo da parte del governo che indichi una direzione di marcia. Il governo Monti, anche perché sottovalutò portata e profondità dei processi di deindustrializzazione, fece poco o nulla al riguardo, limitandosi a attendere una spontanea evoluzione del quadro d`insieme. È un errore in questa fase da non ripetere anche perché le conseguenze, come stiamo vedendo, possono essere davvero drammatiche.

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