Bisognerà impegnare i gioielli di famiglia per rimettere in piedi l`Italia, quando l`emergenza sarà finita. È la tesi del senatore Luigi Zanda, che propone di utilizzare il nostro vasto patrimonio pubblico – comprese le sedi istituzionali – come garanzia per finanziare la ricostruzione. «Oggi l`intera classe dirigente nazionale, a partire da governo e Parlamento, ha due priorità assolute», spiega il tesoriere del Pd. «La prima è la lotta senza quartiere alla pandemia del coronavirus. La seconda è il dopo, quando ricominceremo a vivere. Un dopo che va pensato e ben progettato perché durerà a lungo e sarà molto duro, avrà cioè una gestione assai più difficile di quanto oggi si immagini».
Cosa servirà, senatore?
«Idee nuove, molto coraggio e tanti tanti soldi poiché occorrerà aiutare la ripresa sia del piccolo commercio sia della grande industria».
E dove li troviamo i soldi, visto che l`Italia ha un debito pubblico fra i più alti al mondo e la Ue non pare volerci venire incontro?
«Se l`Europa non ci aiuta il premier Conte ha detto che faremo da soli. Ma siccome nessun prestito ci verrà mai concesso senza garanzie, per far fronte al nostro fabbisogno straordinario senza far esplodere il debito pubblico potremmo dare in garanzia il patrimonio immobiliare di proprietà statale, almeno per la parte costituita dagli edifici che ospitano uffici, sedi delle grandi istituzioni, ministeri, teatri, musei… È una vecchia tesi che può tornare attuale».
Anche Montecitorio o Palazzo Chigi?
«E perché no? Siamo in guerra. E poi parliamo di garanzia, non di vendita. Si tratta di beni già iscritti nel bilancio dello Stato per un valore che si aggira intorno ai 60 miliardi. Ai quali aggiungere i beni degli enti locali e delle regioni, che sono censiti solo parzialmente e secondo alcuni valgono circa 300 miliardi. Per poi domandarsi se si possa far rientrare anche il demanio non strategico né militare, facendolo concorrere al grande sforzo che attende il Paese».
Sta pensando alle spiagge?
«Non alle parti indisponibili. E poi anche ai porti e agli aeroporti».
E dove finirebbero questi beni? In un fondo ad hoc magari ribattezzato “Ricostruire l`Italia”?
«Queste sono tecnicalità che possono essere risolte in vario modo. L`importante è esaminare la fattibilità in termini politici e istituzionali».
Ma quindi il patrimonio artistico e culturale resterebbe escluso? Colosseo e Fontana di Trevi, per intenderci, non rientrerebbero fra i beni da ipotecare, giusto?
«Mi pare evidente. Non siamo in un film di Totò. Ma credo sia meglio dare in garanzia il nostri immobili pubblici anziché affidarsi alla Troika. Che vorrebbe dire cessione di sovranità».
Però se l`immagina il danno se la cura non dovesse funzionare, il Paese andasse a rotoli e palazzo Chigi finisse all`asta?
«È un`ipotesi a cui non voglio nemmeno pensare. L`Italia restituirà il debito. Dobbiamo impedire a tutti i costi che il Paese finisca in default. E comunque fra le tecnicalità si può prevedere che i beni dati in garanzia, laddove dovessero essere escussi, possano restare in lunga locazione a chi li sta utilizzando oggi».
Altre idee senatore?
«Dovremo intervenire anche sulla struttura istituzionale del Paese, non solo sul sistema economico. Iniziando dalla riforma del titolo V per regolare meglio il rapporto tra regioni e Stato con l`introduzione della clausola di sovranità. Bisognerà poi stabilire i limiti all`uso del Dpcm. E definire sin dove può arrivare l`uso dell`esercito in tempo di pace, mantenendo netta la distinzione tra forze armate e forze di polizia».


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