Caro direttore, nella sua lettera-invettiva su Repubblica di ieri Marco Travaglio dimentica quanto stabilisce l`articolo 66 della Costituzione, espressamente richiamato nell`articolo 3, comma 1° della legge Severino: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ineleggibilità o di incompatibilità con l`ufficio di deputato o di senatore”. Piaccia o no a Travaglio, “giudicare” è cosa molto diversa dal limitarsi a “prendere atto”. Ecco: giovedì scorso il Senato non si è limitato a prendere atto di una sentenza penale definitiva, ma ha anche rilevato una anomalia nella composizione del collegio che aveva pronunciato quella sentenza, nonché l`esistenza di una sentenza amministrativa e di una sentenza civile altrettanto definitive, che stabilivano l`esatto contrario di quella penale. Quindi, con il voto, ha espresso il proprio giudizio in proposito, come la Costituzione e la legge Severino prevedono.
Quanto alla vicenda del 2015 che riguarda il senatore Azzollini, ricordo a Travaglio e ai lettori di Repubblica che la richiesta del suo arresto da parte del pm di Trani era essenzialmente motivata con il reato di associazione per delinquere, associazione di cui lo stesso Azzollini era accusato di essere addirittura il capo. Dopo la sentenza di Cassazione, che ha ritenuto totalmente infondata questa imputazione annullando l`ordinanza di custodia cautelare, lo stesso pm di Trani, nella richiesta di rinvio a giudizio del senatore Azzollini per altri reati, ha del tutto rinunciato sia a contestargli l`associazione per delinquere, sia a chiedere la custodia cautelare. Se a Travaglio non piace l`espressione “prosciolto”, scelga lui l`espressione che gli sembra più appropriata; ma resta il fatto che, se avessimo dato retta a lui, avremmo autorizzato l`arresto di un senatore per un`imputazione che dopo il nostro voto si è sciolta come neve al sole. E ora ce ne vergogneremmo.


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