Signor Presidente, una parte del nostro Paese di fronte a temi così importanti come quelli di cui stiamo discutendo fatica a riconoscersi nelle parole d’ordine e negli slogan delle opposte tifoserie. Si sono riempite le piazze ed è giusto che sia stato così, ma le piazze servono ad affermare una presenza, a gridare un bisogno, una protesta, un impegno. Ho il più grande rispetto per le piazze ma dico che su questi temi, che coinvolgono i sentimenti più profondi di tante persone e i principi intorno ai quali si struttura la nostra società, sarebbe stato bene soprattutto riuscire ad ascoltarsi e trovare soluzioni condivise anziché screditarci, talvolta persino a insultarci, a vicenda.

Non posso dire di avere certezze, ma posso dire di avere ascoltato senza pregiudizi sia le ragioni di coloro che appoggiano convintamente questo disegno di legge sia coloro che ne temono gli effetti. In questa ricerca non stato solo. Mi ha molto colpito, ad esempio, la lettera di oltre 200 capi scout dell’AGESCI che hanno chiesto alla loro associazione – penso lo chiedano anche a noi tutti – di incontrare le famiglie arcobaleno, di evitare di pontificare senza averne ascoltato la domanda di riconoscimento sociale, di poter amare ed essere amati senza doversi nascondere, senza subire discriminazioni, di fare progetti di vita che siano aperti verso gli altri, di poter crescere e proteggere dei figli, coltivare dei progetti ispirati da una visione di generosità e altruismo di cui essi sono capaci come chiunque altro. Ritengo che una parte importate del mondo cattolico sia desiderosa di dare pieno riconoscimento a questa domanda di dignità e di diritti e senta come una ferita anche propria che ciò non sia ancora avvenuto. Non è possibile né accettabile pensare alla società ideale come a una cittadella chiusa nelle roccaforti di un castello e che si possa distinguere tra la condizione di chi è dentro e chi e fuori, tra i sommersi e i salvati.

Cittadini del mondo, noi pensiamo che ogni uomo e donna, senza alcuna distinzione di razza o di sesso, sia nostro concittadino e vogliamo che a tutti sia data la stessa possibilità di essere felici e, al tempo stesso, corresponsabili della sorte della nostra città, che chiamiamo per l’appunto mondo. Per questo motivo appare ingiusta e anche fastidiosa la caricatura che pure ho sentito in quest’Aula di un mondo cattolico esclusivamente bigotto e oscurantista, incapace di vedere le persone oltre i principi. Noi dobbiamo andare avanti, oltrepassare questi steccati e questi pregiudizi. Dobbiamo cercare terreni di impegno comune, promuovere tutto ciò che contrasta la precarietà, la fiducia nel futuro, il coraggio di investire in progetti di lunga durata, che si tratti di aspetti economici, rapporti di lavoro o relazioni sentimentali. Il senso di precarietà, la paura di perdere tutto, il sentimento di instabilità paralizza non solo gli individui ma la stessa società e li rende entrambi più fragili. Ben vengano, quindi, le unioni civili se contribuiscono a dare una prospettiva di impegno reciproco di lungo periodo ad una coppia omosessuale. Perché non dovremmo legittimare, aiutare e sostenere due persone che si amano, qualunque sia il loro orientamento sessuale, a costruire un progetto di vita nel quale esprimere compiutamente la loro personalità, i loro migliori sentimenti, i loro sogni, la dimensione oblativa che albeggia, nello splendore dell’alba di ogni vita, nel cuore di ciascun ragazzo e ragazza?

Voglio ribadire la mia stima verso tutti coloro che si sono fatti carico di questa importante battaglia politica, coloro che mi hanno avvicinato in queste settimane per esprimermi con gentilezza e discrezione, in certi casi anche con rabbia e frustrazione, quanto attesa, quanta aspettativa e quanta speranza ripongono in questa riforma.

Ma nell’amicizia non c’è spazio per la reticenza e io sento il bisogno di dire che sarebbe riduttivo circoscrivere il significato di questa riforma ad una mera estensione di diritti civili a soggetti che oggi non ne godono. Questa riforma non concerne solo i singoli individui, i partner delle future unioni civili; non concerne solo il giusto riconoscimento di una pari dignità delle coppie omosessuali con quelle eterosessuali. Essa ha a che fare con aspetti molto più profondi che riguardano la strutturazione della nostra società, i suoi valori fondanti ed è per questo che suscita così tanto dibattito e in parte sconcerto e turbamento.

È proprio della riflessione su questi aspetti che alcuni colleghi, che pure stimo, hanno voluto farsi carico, per evitare semplificazioni che facilmente si trasformano in

banalizzazioni. Si tratta di opinioni e sentimenti che non dovrebbero essere a loro volta ridicolizzati e irrisi.

La sessualità riguarda gli aspetti più intimi degli uomini, delle donne e della stessa società in quanto attiene al modo in cui viene generata e trasmessa la vita. Nulla può esserci di più prezioso e anche di sacro – intendendo la parola sacro come un elemento decisivo nel passaggio di mano in mano tra le diverse generazioni – di quella fiamma flebile che è la vita. Sacro e prezioso perché ciascuno di noi, credente o non credente, nel cercare le ragioni ultime per cui esiste, respira, ama, spera, non può fare a meno di pensare al momento in cui è stato concepito e domandarsi se ciò è stato il frutto di un atto di amore libero, di un progetto di vita, di essere stato atteso e voluto proprio da quel corpo di donna che ci ha ospitato, formato e nutrito nei primi momenti e nei primi mesi della nostra esistenza, oppure il frutto di una sofisticata tecnica riproduttiva artificiale; non l’incontro tra due persone e i loro corpi, ma tutt’al più di due volontà, come avviene in un contratto.

Con tutta franchezza non è la stessa cosa. La generazione della vita presuppone l’incontro e la fusione di due differenze, il corpo di un uomo e il corpo di una donna. In principio di ogni esistenza sta questa differenza. Ciascuno di noi è inserito in una catena di generazioni di cui portiamo traccia sin nel nostro stesso nome. Noi siamo parte di una storia, anello umile ma necessario tra chi ci ha preceduto e chi verrà dopo di noi.

Siamo pronti per modificare questa modalità di trasmissione della nostra identità personale e sociale? Mi pongo la domanda con timore e tremore, ben consapevole della straordinaria capacità della scienza di incidere anche su questi aspetti ultimi della nostra vita. Non può esservi però scienza senza coscienza, non può essere solo la tecnica a decidere. Abbiamo necessità di discernere. Ritengo che sul tema della filiazione sarebbe stato opportuna una più profonda e soppesata riflessione. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Di Biagio. Congratulazioni).


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