Signor Presidente, colleghi senatori, siamo finalmente giunti a discutere e – io spero – a votare un provvedimento atteso da troppo tempo. La responsabilità del ritardo è certamente del centrodestra, ma anche il centrosinistra non seppe farcela. Ed è stato un errore, in questa legislatura, aver condotto uno sterile ostruzionismo in Commissione, di fronte a un testo che richiedeva miglioramenti e quindi un vero primo dibattito.

Comunque, ora ci siamo, e guardiamo ai contenuti: quelli positivi e già acquisiti, ma anche quelli da migliorare o correggere, anche radicalmente. Poi dedicherò qualche minuto, prima di concludere, al metodo e al percorso parlamentare che ci aspetta nei prossimi giorni.

Quanto al merito: anzitutto voglio dire che tutto il Partito Democratico condivide la necessità di dare un pubblico riconoscimento alla coppia di persone omosessuali. Non bastano i diritti e i doveri delle persone; noi intendiamo approvare un nuovo negozio giuridico, innestato nel solco dell’articolo 2 della Costituzione. Il senso è chiaro: lo Stato deve riconoscere (in quanto esistono) e deve promuovere (in quanto è interesse della collettività) le forme di relazione affettiva orientate alla continuità, alla stabilità, al mutuo aiuto morale e materiale.

Da questo punto di vista, l’orientamento sessuale non è rilevante: è un bene che due persone si impegnino pubblicamente a sostenersi reciprocamente, alla coabitazione, alla fedeltà. Anche questa forma di stabilità affettiva è meritevole di un pubblico riconoscimento, in quanto capace di costruire legami tra le parti e i parenti, di assicurare un pronto aiuto nei tanti casi di difficoltà, di rompere la solitudine.

L’altra questione, e qui sta la differenza rispetto al matrimonio tra eterosessuali, riguarda la genitorialità. La coppia omosessuale è diversa perché la natura (non le leggi) esclude che essa possa generare. La coppia eterosessuale unita in matrimonio è anche orientata alla riproduzione e alla crescita dei figli che nascono in famiglia. La coppia omosessuale può solo desiderare di crescere dei bambini.

Quel desiderio di generare e crescere dei figli è veramente umanissimo, ma occorre domandarci se tale attesa possa trasformarsi in diritto. Detto diversamente, quel desiderio si scontra con le attese dei futuri bambini che, con la maternità surrogata (e in misura minore con la fecondazione eterologa) vedono ridursi o cancellati i diritti primi, essenziali ed indiscutibili.

Un bambino che cresce in una coppia omosessuale, e con la stepchild adoption, potrà essere riempito di affetto ed educato al meglio, ma non avrà la certezza della sua identità biologica; non avrà entrambi i genitori biologici come genitori legittimi; non avrà un padre e una madre che lo crescono, bensì due padri o due madri; non avrà (se vivrà con due padri) il conforto della madre che l’ha generato.

Non si può allora, volendo comunque occuparci di come assicurare la migliore tutela a quei bambini, dimenticarci dei torti che essi subiscono nei modi in cui sono concepiti, vengono al mondo e sono cresciuti. Insomma, la pretesa di non discriminare gli adulti rispetto al desiderio di genitorialità porta a discriminare i bambini.

Si obietterà che fecondazione eterologa e maternità surrogata sono praticate anche dagli eterosessuali ed è vero, ma si tratta di un’eccezione, non di una condizione.

E arriviamo allora all’affido rafforzato. Alle obiezioni di chi dice che le tutele sono insufficienti, rispondiamo che la proposta, sottoscritta da una trentina di colleghi ma che trova un consenso ben più ampio, assicura la piena funzione genitoriale in capo all’affidatario e prevede la continuità affettiva. Adozione o affido rafforzato non sono quindi due proposte agli antipodi.

I vantaggi dell’affido sono diversi, invece. Non si legittimano le forzature utilizzate per procreare, il minore continua ad avere, dal punto di vista anagrafico, un padre e una madre. Si consente di intervenire più facilmente nei possibili casi di inadeguatezza genitoriale. In ultimo, ma non meno importante, con l’affido rafforzato viene esclusa anche in futuro la possibilità di adottare il figlio di terzi. Oggi questa facoltà è preclusa nel disegno di legge in discussione, ma l’esperienza austriaca ci porta a ritenere che la stepchild adoption possa essere solo il primo passo per arrivare a quell’esito.

Al dibattito di questi giorni, sui media e in Aula, non sono poi mancate contraddizioni e ipocrisie. Ne ricordo alcune, che credo la discussione stia ormai svelando, con buona pace di chi si ostina a ripeterle.

Anzitutto, si è detto: «Il tema della maternità surrogata non si pone, essendo già vietata in Italia», ma così si continua a chiudere gli occhi sul fatto che si va a farla all’estero. Delle due l’una: se si è contrari, vanno votati gli emendamenti che propongono di applicare la pena già prevista per chi viola tale divieto in Italia anche a chi fruisce od organizza la maternità surrogata all’estero; se invece si è favorevoli, bisogna arrivare alla conclusione: si proponga di depenalizzare la pratica.

Si è poi detto: «Sono contro la maternità surrogata e insieme per la stepchild adoption», argomentazione più volte sostenuta, a me pare con grande contraddizione. Il ragionamento non tiene, semplicemente perché la maternità surrogata, nel caso della coppia composta da due maschi, è la condizione necessaria per avere un figlio, e l’avere il figlio in quel modo è la condizione necessaria per adottare il figlio del partner.

E poi si è ancora ripetuto: «Se si consentisse di adottare i figli di terzi non si porrebbe il problema», ma è facile rispondere che oggi, in Italia, per ogni bambino in stato di adottabilità ci sono almeno otto coppie sposate da almeno tre anni che si candidano ad adottarlo. Informo gli strappalacrime – mi consentirete la piccola ironia – che gli orfanotrofi non ci sono più da un pezzo e che, pur nei casi particolari previsti dalla legge n. 184 del 1993, già oggi i single e le coppie non sposate possono adottare.

Si è infine detto, e questa forse è stata la maggiore delle contraddizioni: «Non possiamo discriminare rispetto agli eterosessuali». Lo si è detto fino al punto di affermare che la proposta di affido rafforzato sarebbe incostituzionale. Rispondo: sono d’accordo a non discriminare, ma il rischio è al contrario.

Facciamo il caso di due uomini sessantenni che contraggano l’unione civile. Appena dopo, con la maternità surrogata, ottengono il bambino e il partner lo adotta. Con diverse differenze, in effetti, rispetto agli eterosessuali.

Infatti possono adottare il minore anche se nato durante l’unione civile, mentre per gli etero, nell’adozione per casi particolari, il figlio deve essere frutto di una precedente relazione. Non è prevista una distanza massima di anni tra i genitori e il bambino e neanche una durata di convivenza minima, entrambe richieste invece per l’adozione del figlio di terzi. Non è previsto un anno di affido preadottivo, cioè di prova. Alla faccia delle discriminazioni.

E arriviamo alla terza grande questione: la disciplina delle convivenze. Sono d’accordo sul fatto che vadano riconosciuti diritti come, ad esempio, quello della visita in caso di malattia o altro. Sono meno d’accordo sull’impianto complessivo: disciplinare le convivenze significa riconoscere un nuovo negozio giuridico a realtà che, per la loro stessa volontà (lo dichiarano praticamente tutti), non richiedono di essere pubblicamente riconosciute, come dimostra peraltro la scarsissima adesione agli albi comunali. Si consideri che gli eterosessuali dispongono già del matrimonio e che il divorzio breve facilita il suo scioglimento.

Vi sono poi evidenti contraddizioni nel testo in discussione. Ad esempio, il previsto mutuo aiuto morale e materiale può – sottolineo può, non deve – definirsi attraverso un contratto di convivenza, mentre un vero e proprio obbligo di mantenimento e alimentare è previsto solo in caso di cessazione della convivenza di fatto. È un po’ come dire che il convivente debole, che non ha reddito, può essere lasciato alla fame, salvo quando la convivenza finisce. Queste e molte altre contraddizioni, se confermate, faranno la gioia degli avvocati, con un contenzioso che inevitabilmente porterà a cavillare sulle contraddizioni di una parte del testo di legge mal scritta e mai approfondita.

Se si riconosce la convivenza come un vero negozio giuridico, si rischia di rendere il matrimonio meno attrattivo rispetto a scelte, a quel punto legittimate, orientate alla precarietà affettiva e si rischia quindi di non tutelare a sufficienza l’eventuale contraente debole, che trova invece sicure protezioni nel matrimonio. Molto meglio sarebbe parlare nel testo di diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi, affiancandovi la possibilità di stipulare contratti tipo sugli aspetti materiali e patrimoniali.

In conclusione, non posso dimenticare, arrivando al metodo che ci ha portato fin qua, alcune ripetute dichiarazioni per le quali solo qualche cattolico del PD con il mal di pancia stava continuando a mantenere dubbi rispetto alle magnifiche e progressive sorti del disegno di legge. Quelle dichiarazioni si commentano da sole e comunque ci hanno stimolato a batterci per dimostrare che non si trattava dell’ennesimo scontro tra laici e cattolici, che non si doveva riaprire il bipolarismo etico e che i buoni argomenti possono prevalere o, almeno, trovare ascolto.

Annoto un’ultima questione. Abbiamo preso atto, studiando il testo, che già con l’approvazione dell’articolo 3 verrebbe approvata la stepchild adoption. Al proposito è stato quindi formulato un emendamento. Osservo che nessuno degli estensori e dei firmatari del disegno di legge ha smentito finora quanto ha affermato. Io credo alla bontà dell’interlocutore, per cui mi aspetto, prima del voto, che la buona fede sulla vicenda venga pubblicamente assicurata.

Per concludere, queste convinzioni, condivise da molti colleghi, non sono riconducibili ad un disegno oscurantista o integralista. Conosciamo le miserie umane, perché non ne siamo esenti. Sappiamo che la tolleranza e il rispetto delle opinioni altrui valgono almeno quanto la difesa delle proprie. Non ci piacciono i politically correct, né chi interpreta sulla materia il genere trash; non abbiamo usato la tattica per trattare. Si tratta piuttosto di convinzioni equilibrate, che in sintesi intendono dare piena cittadinanza alle unioni civili omosessuali, che vogliono riconoscere una funzione genitoriale al partner non genitore senza legittimare forzature, che ritengono opportuno dare diritti e doveri alle persone stabilmente conviventi, ma senza costringerli in forme giuridiche non richieste dai più e insidiose rispetto alla tutela matrimoniale. Questo, sì, sarebbe davvero un disegno riformista. Spero e lavorerò perché questa sintesi alta e giusta possa ancora essere raggiunta. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).