Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, voterò convintamente il testo del disegno di legge Cirinnà, frutto di un lavoro lungo ed approfondito che, nel corso di questi anni, è stato oggetto di tante modificazioni, tese a raccogliere la più ampia partecipazione e condivisione. La discussione che si è svolta in questi giorni in Aula ha ampiamente evidenziato come questo provvedimento abbia lo scopo prioritario di prevedere diritti per chi oggi nel nostro Paese non ne ha. Tra questi diritti, vi sono quelli fondamentali dei bambini e delle bambine. Si tratta di riconoscere ai bambini e alle bambine, che non sono un desiderio, ma che sono tra noi, che frequentano gli asili nido, le scuole, i parchi e che giocano con i nostri figli e i nostri nipoti, il diritto alla continuità e alla stabilità affettiva e al prioritario interesse delle loro vite, che è questo.

Dobbiamo guardare con animo libero da pregiudizi a quei Paesi dove ciò è una realtà indiscussa da tempo e dove non si sono prodotti sconvolgimenti sociali di nessun tipo. L’Italia è uno strano Paese, un Paese nel quale l’accesso ai diritti è garantito dalla giurisprudenza anziché dalla politica. Ce l’ha detto la Corte di Strasburgo questa estate, quando ha condannato l’Italia per l’inerzia in materia di rapporti tra persone dello stesso sesso, per averle private di una tutela giuridica e costrette ad un interminabile pellegrinaggio tra i diversi tribunali ordinari del nostro Paese, in un ordinamento nel quale – noi spesso non ce lo ricordiamo – il precedente giurisprudenziale non è vincolante.

Prima di Strasburgo, si era già ripetutamente pronunciata la Corte di cassazione e, non da ultimo, la Corte costituzionale, che aveva sollecitato il legislatore italiano ad intervenire già dal 2010. Il tema del riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso non è nuovo alle Aule parlamentari. Già con la legislatura del 2006 si è cercato di mettere mano alla materia, con gli esiti che oggi tutti vediamo. L’Italia è il Paese della legge n. 40, una legge orribile, di cui la giurisprudenza italiana ed europea hanno fatto brandelli, sancendo una volta per tutte l’incapacità della classe dirigente politica di assumere decisioni inclusive fuori da un bipolarismo esasperato.

Oggi abbiamo una nuova occasione. Quello che la senatrice Cirinnà ha depositato è un disegno di legge che rappresenta un compromesso, certo; ma possiamo dire che è un buon compromesso. Si tratta senza dubbio di temi di forte impatto sociale, di fronte ai quali non possiamo rimanere indifferenti. Quelli in discussione sono infatti argomenti certamente delicati, che coinvolgono non solo il diritto, ma anche la morale, l’etica, il comune pensiero. Proprio per questa ragione, sono dell’idea che l’Italia non debba perdere l’opportunità di adeguarsi alla richiesta sociale, riconoscendo, come già ampiamente hanno fatto altre legislazioni, diritti e doveri alle coppie di fatto e in special modo a quelle omosessuali.

D’altro canto, l’impostazione sulla famiglia, nella sua originaria stesura, non contemplava certo il divorzio: se fosse stato un paradigma intoccabile, un totem, non avremmo certo avuto la riforma del diritto di famiglia.

Il nostro Parlamento si trova di fronte a un’importante prova di civiltà e di rispetto dell’evoluzione della società e del principio di uguaglianza. Un compromesso come dicevo, ma un buon compromesso. Certo, per fare questo l’impianto della legge deve tenere e non si può pensare di fare a meno dei punti più significativi di questo disegno di legge, ovvero la facoltà di adottare il figlio biologico del partner e il riconoscimento della reversibilità, che, come chiarito definitivamente dal Ministero dell’economia e delle finanze, gode di un’adeguata copertura finanziaria.

Diversamente, non solo approveremmo una legge con macroscopici difetti di costituzionalità, ma finiremmo con il replicare la disastrosa esperienza della legge n. 40 del 2004; solo che ad essere smantellata pezzo a pezzo sarebbe una legge che porterebbe la nostra firma, ed io non la voglio mettere, questa firma.

La nostra classe politica è oggi a un bivio. Il tempo delle decisioni non è più rinviabile e non è più accettabile che il nostro vuoto sia colmato dalla giurisprudenza.

Serve un nostro scatto, serve la forza di traghettare l’Italia in un tempo nuovo, tanto più in una legislatura che ci ha chiamato a ridefinire l’impalcatura di questo Stato. Pensare di farlo senza passare dalla strada del riconoscimento dei diritti, dalla costruzione di uno spazio pubblico inclusivo, dove possano trovare piena cittadinanza le differenze tutte, sancirebbe l’ennesima sconfitta di un’intera classe dirigente, la nostra. (Applausi dal Gruppo PD).


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