Signora Presidente, cari colleghi, domani inizieremo a votare una legge attesa da molti anni che ha aperto un grande dibattito nel Paese e che ci assegna una grande responsabilità. La legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso è un passo che migliaia di persone attendono da troppi anni. È la legge che manca per realizzare definitivamente l’articolo 3 della Costituzione, il più bello: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». E se non c’è uguaglianza, come ricordava la senatrice Cirinnà all’inizio di questo dibattito, c’è discriminazione.

Il nostro compito di legislatori è far sì che tutti i cittadini di questo Paese siano pienamente riconosciuti dallo Stato, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale. Se la tua relazione d’amore è riconosciuta pienamente nei diritti e nei doveri dal tuo Paese sei più forte anche nei confronti della violenza di chi vorrebbe cancellarti o ferirti, del bullismo omofobico e dell’omofobia.

Noi, votando questa legge, a due anni e mezzo dal suicidio di Andrea Spezzacatena, «il ragazzo dai pantaloni rosa», possiamo riportarlo a scuola, come ha scritto la mamma in una straziante lettera.

Rifiuto la semplificazione che la divisione in questa Aula sia tra laici e cattolici. Non mi sento meno cattolica di chi osteggia l’articolo 5 di questa legge.

Il Paese era spaccato in due anche in occasione della legge sull’aborto e sul divorzio. Ma anche allora legislatori cattolici che non avrebbero mai né abortito, né divorziato permisero di non limitare le libertà individuali facendo fare un passo avanti al nostro Paese. Anche in quelle occasioni non mancarono i profeti di terribili sventure.

Durante il dibattito sulla legge sul divorzio dalle colonne del «Corriere della Sera» arrivavano le geremiadi di alcuni intransigenti moralisti: «Gli scrittori saranno perseguitati, gli intellettuali dispersi nelle galere e nei manicomi, e i confini inesorabilmente aperti ai carri armati sovietici». Nulla di tutto questo è accaduto, come sappiamo.

Evitiamo, come ha detto Emma Bonino, che l’«io non lo farei» diventi «allora tu non lo devi fare».

Siamo rimasti l’unico Paese in Europa a non disciplinare le unioni tra persone dello stesso sesso e a non tutelarne i figli riconoscendo ad entrambi i componenti dell’unione le medesime responsabilità genitoriali. Dall’Irlanda alla Spagna, Paesi profondamente cattolici, l’estensione dei diritti alle coppie dello stesso sesso, anche attraverso il matrimonio ugualitario, non ha portato alcun danno alle famiglie tradizionali.

Dare diritti a chi oggi non ne ha non toglie alcun diritto alle famiglie eterosessuali, alle quali questo Governo sta restituendo risorse che la Destra aveva tagliato: dal bonus bebè, ai 600 milioni della legge di stabilità per le famiglie con figli in condizioni di povertà, dal fondo per la non autosufficienza ai 100 milioni per la povertà educativa dei bambini e delle bambine. Molto si sta facendo per le famiglie di questo Paese.

Ma vengo al tema su cui si è concentrato il nostro dibattito: quello dell’adozione del figlio del partner disciplinato dall’articolo 5. Si dice che apra alla maternità surrogata. Non è vero; resta vietata. Ma, in assenza di questo provvedimento, c’è comunque chi fa ricorso alla gestazione per altri all’estero: l’84 per cento sono coppie eterosessuali. Non approvando l’articolo 5 di questo disegno di legge nulla cambierebbe rispetto al ricorso all’estero della gestazione per altri. Semplicemente lasceremmo senza tutele i bambini figli di coppie dello stesso sesso. Ci sono bambini figli di coppie lesbiche nati grazie alla fecondazione assistita o figli di precedenti unioni eterosessuali.

In quest’Aula abbiamo ascoltato di tutto, da orrendi paragoni con gli OGM a frasi del tipo: «I bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà perché è la mamma che dà le carezze, ma se c’è un problema da risolvere… eh, serve un papà!».

Questo provvedimento chiama in causa ciascuno di noi, le nostre coscienze e la nostra responsabilità. Sta a noi decidere domani se bambine e bambini che crescono nel nostro Paese con due genitori dello stesso sesso possono avere gli stessi diritti degli altri vedendo riconosciuti ad entrambi i genitori le stesse responsabilità genitoriali con un passaggio davanti al giudice per l’adozione speciale. Oppure se si pensa di voler discriminare i bambini in base all’orientamento sessuale di chi li ha generati o ha contribuito a farlo. O ancora se questo Parlamento non se la sente di assumersi questa responsabilità e vuole delegare questa responsabilità al Governo – come si sa, al nostro Presidente del Consiglio il coraggio non manca – ma poi nessuno pianga più sostenendo che il Governo decide da solo e umilia il parlamento. E ancora, se non saremo noi a decidere saranno i tribunali a farlo. Tre sentenze sono pronte alla Corte costituzionale per salvaguardare l’uguaglianza dei minori di fronte all’inerzia del Parlamento.

Il Tribunale dei minorenni di Bologna e la Corte di appello di Milano chiedono alla Corte di verificare la legittimità costituzionale della nostra legge sulle adozioni – altro che vizi di costituzionalità del disegno di legge Cirinnà! – che non permette di riconoscere in Italia la sentenza straniera di adozione di un minore in favore del coniuge del genitore dello stesso sesso. Al giudice viene di fatto impedito dalla legge n. 184 di verificare quale sia l’effettivo superiore interesse del minore, in palese violazione di ogni principio garantito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo al rispetto della vita familiare e ai diritti dei bambini e delle bambine.

Sono contraria allo stralcio e mi permetta di spiegare perché, Presidente. Perché il riconoscimento dei diritti dei bambini non può aspettare oltre e perché, guarda caso, la proposta che rinvia ad una delega al Governo sulla riforma delle adozioni arriva poi sempre da chi poco tempo fa è stato contrario persino alla possibilità che i single che hanno da anni un bambino in affido familiare, qualora diventi adottabile, possano ricorrere all’adozione. Il motivo lo ha detto con chiarezza il senatore Giovanardi: aveva paura che dietro a quel single si celasse un gay o una lesbica.

Allora, qui l’utero in affitto non c’entra proprio nulla; c’entra il pregiudizio, che deve aver avuto anche il Presidente della società italiana dei pediatri, immediatamente contraddetto dai colleghi della Federazione italiana medici pediatri. Bisogna che un pediatra mi spieghi se il bambino in carne ed ossa che ha davanti, che cresce con due persone dello stesso sesso, non è più sereno se ha due genitori che condividono le stesse responsabilità genitoriali o se, invece, è meglio dirgli chiaro e tondo che l’altro è a responsabilità limitata. Se finisce in ospedale, non è detto che possa assisterlo. Mi si deve spiegare se un adolescente non cresca meglio se lo Stato lo riconosce come cittadino qualunque sia il suo orientamento sessuale. Questa è la responsabilità che ci assumiamo votando questa legge: rendere tutti i cittadini uguali, ugualmente riconosciuti nella loro capacità di amare, ugualmente liberi e felici. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).


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