Si sta parlando in questi giorni della necessità di pianificare la fase 2 della ripartenza, dopo la prima emergenza della pandemia da Coronavirus, quella della riapertura delle attività produttive e del riavvio del sistema economico e sociale, attraverso una cabina di regia che coinvolga governo, forze di opposizione, rappresentanti dei governatori regionali e dei sindaci, associazioni di categoria, Pubblica amministrazione, imprese, sindacati delle lavoratrici e dei lavoratori.

E’ giusto condividere scelte e responsabilità che riguardano il futuro prossimo di tutti e le prospettive stesse del nostro Paese. Ma perché la ripartenza sia anche un’occasione di rinascita, di cambiamento e di innovazione, un’opportunità per correggere quei limiti dell’economia e dell’organizzazione sociale che questa crisi straordinaria sta mettendo in evidenza, è assolutamente prioritario che la cabina di regia sia contaminata in modo virtuoso da un pensiero femminile e femminista. Non solo per una questione di parità e di giustizia sociale, ma per il futuro stesso dell’Italia.

Come ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, in questo momento il lavoro delle donne sta sorreggendo il sistema Italia. I due terzi delle donne occupate, 6 milioni 440 mila su 9 milioni 872 mila, stanno continuando a prestare la propria opera perché impegnate in settori strategici, come il Sistema sanitario nazionale (dove i 2/3 sono donne) e la cura domiciliare di anziani non autosufficienti, la scuola, la vendita di alimenti, i servizi bancari e assicurativi, i servizi nella Pa. Sono fermi, invece, proprio i comparti a più alta densità di presenza maschile, come l’industria e le costruzioni.

Le donne stanno lavorando di più in casa: cura dei bambini, degli anziani e degli ammalati, lavoro domestico, spesa, assistenza in mansioni non tradizionali, quale il sostegno alle insegnanti della scuola primaria e secondaria di primo grado (in gran parte donne). Per le occupate in smart working, questo si traduce in un pesante sovraccarico di lavoro. L’Italia scopre in questo momento l’importanza e il valore del lavoro e del contributo delle donne alla lotta contro il Coronavirus, sia nelle famiglie che nella società.

D’altro canto, le analisi dei dati fornite dall’Istituto Superiore di Sanità rilevano che le donne sono più resilienti al virus: vengono colpite meno e in modo meno aggressivo. Tra i decessi, il 68,8 per cento riguarda gli uomini, il 31,2 per cento le donne. L’approfondimento delle ragioni sarà oggetto dei necessari studi di medicina di genere, che già alcune studiose stanno approntando con ipotesi fruttuose relative, oltre che alla differenza del corpo femminile, anche agli stili di vita e all’impatto sul genere delle politiche sanitarie.

Il dato comunque evidente a tutti è che le donne ora sono protagoniste della resistenza e saranno protagoniste della ripresa, perché continueranno a lavorare nelle case producendo beni e servizi “sommersi” e torneranno prima al lavoro.

Ma non è solo per questo, tuttavia, che le donne devono essere protagoniste della cabina di regia per la ricostruzione. A farne parte, è questo che più conta, dovrà essere lo sguardo peculiare che negli anni le donne hanno maturato sul mondo, costruendo un pensiero autonomo sui modelli di sviluppo e di consumo. L’elaborazione delle donne ha ribadito la necessità di nuovi comportamenti culturali e sociali e prodotto paradigmi che prevedono l’investimento nella cura e nello sviluppo delle persone, un nuovo equilibrio tra tempi di cura e di lavoro, un nuovo rapporto tra uomini e donne, economia e ambiente.

Molti stanno sottolineando la necessità, anche per le aziende, di cogliere l’occasione per innovare. Molte hanno riconvertito le produzioni per affrontare la crisi e apportare un contributo importante all’Italia. Ma nel futuro del nostro Paese devono esserci il potenziamento del sistema sanitario, il recupero del digital divide, economia circolare, mobilità e turismo sostenibili, energia e produzioni pulite, meno burocrazia, attenzione alla qualità della vita e al benessere delle persone, solidarietà sociale, condivisione del lavoro di cura e riconoscimento del suo valore economico.

Questo comporta nuovi rapporti tra uomini e donne, un’organizzazione sociale che abbia al centro le persone e le famiglie di qualunque tipo, più attenzione e investimenti sui saperi e sulle giovani generazioni. La società dovrà essere più resiliente. Il pensiero delle donne lo dice da tempo e il momento attuale mostra chiaramente che questa è la sola strada perché l’Italia esca dalla crisi migliore di prima. Sappiamo, per esempio, che l’aumento del tasso di occupazione femminile, in Italia tra i più bassi d’Europa, genererebbe a cascata nuovi posti di lavoro ed effetti molto positivi sul Pil.

Sappiamo che l’Italia ha tra i più bassi tassi di natalità al mondo e che anche questo è un fattore di arretratezza. D’altro canto la cultura prevalente, contro cui le donne lottano da almeno 70 anni nel nostro Paese, genera invece violenza di genere, femminicidi, insicurezza sociale, disparità sociali ed economiche. Ora è il tempo di agire. Per riprendersi l’Italia ha bisogno di quello che chiedono da sempre le donne. Facciano parte della cabina di regia anche esperte in politiche di genere, scienziate, donne ai vertici dell’impresa, dell’amministrazione e della politica. Ce ne sono tante e bravissime. Le donne siano protagoniste della ripartenza. È un regalo che l’Italia vista in questi giorni si merita. La politica stavolta non manchi all’appello.


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