Signor Presidente,
questo dibattito, dove il merito si è alternato alla demagogia, ha un oggetto politico: il rapporto di fiducia tra un Ministro in carica e il Parlamento, connesso a una delicata inchiesta penale sulla quale oggi nulla può dire il Senato, perché
e stabilire chi è colpevole o innocente non spetta a noi, ma alla magistratura.
Un dibattito che non meritava i toni, le parole, i bassi argomenti che abbiamo ascoltato da alcuni senatori con imbarazzo e grande disagio.

Una considerazione preliminare.
In passato, con ben diverso fondamento, io stesso, come altri, ho presentato una mozione di sfiducia individuale a un membro del governo. Oggi, ho molti dubbi che sia uno strumento in linea con il nostro ordinamento.

La sfiducia individuale non è prevista dalla Costituzione e, sino al 1995, il Parlamento ne ha fatto un uso parco.
Dopo la mozione nei confronti del ministro Mancuso, è diventata una moda, tanto che in questa sola legislatura ne sono state presentate ben 36 tra Camera e Senato.
C’è un gruppo che presenta mozioni individuali con la stessa disinvoltura con cui chiede il numero legale.

Dobbiamo saper vedere le cose per quel che sono.
La sfiducia individuale altera il sistema parlamentare rappresentativo dove la fiducia si dovrebbe dare o negare collettivamente all’intero governo e non ai singoli ministri. Mi auguro che di questa prassi si possa presto iniziare a discutere.

Veniamo al fatto posto a fondamento della mozione dei senatori del Movimento 5 stelle che, come tutti noi, non hanno potuto prendere visione degli atti dell’inchiesta.
Conoscono solo quanto i quotidiani hanno pubblicato dopo una fuga di notizie su cui la magistratura ha ordinato un’indagine e che il vice Presidente del CSM ha definito “un caso eclatante che rischia di minare la credibilità degli organi inquirenti”.

Dai giornali abbiamo appreso che il ministro Lotti è entrato nell’inchiesta non per fatti corruttivi, ma per una presunta violazione del segreto d’ufficio che poco fa lo stesso Ministro ha solennemente e chiaramente dichiarato di non aver mai e in nessun modo effettuato.
Siamo ancora nella fase preliminare delle indagini e non c’è stato alcun rinvio a giudizio.
Di tanta vaghezza abbiamo avuto conferma oggi in quest’Aula.
Chi ha presentato la mozione di sfiducia non ha portato nessun vero argomento giuridico che possa giustificarla.
Solo parole vaghe il cui senso è che la presenza al Governo dell’onorevole Lotti “sarebbe inopportuna”. Questo è scritto nella mozione.

Il ministro Lotti non ha commesso alcunché di illegale o di illegittimo.
Ma i grillini chiedono egualmente che venga sfiduciato per inopportunità.

Quando l’opposizione arriva ad utilizzare, declinandolo in vari modi, l’argomento dell’opportunità come principale ragione d’un voto di sfiducia, allora diventa evidente che il loro atto ha solo un significato politico.

L’inopportunità viene usata come fosse un reato sul quale la sentenza di colpevolezza non viene emessa da un giudice, ma dal Parlamento, chiamato a pronunciarsi senza conoscere i fatti.

Sarebbe meglio maggior franchezza.
Invece di chiamare in causa un procedimento penale ancora in fase preliminare, sarebbe più leale dire esplicitamente che bisogna sfiduciare l’onorevole Lotti perché è un nemico politico contro il quale è lecito l’uso di qualsiasi arma parlamentare.
Il Movimento 5 stelle lo chiede non per l’esito di una indagine tuttora in corso di cui nessuno può conoscere l’esito, ma solo perché Lotti è un parlamentare vicino a Renzi.
Se questa è la ragione della sfiducia, ditelo apertamente e non nascondetevi dietro lo schermo dell’opportunità.
Non condivido la posizione di chi censura qualcuno per far male a qualcun altro. Usare queste manovre in Parlamento, mortifica la politica.

Invito l’Aula a leggere il testo della mozione. Trabocca di prudenza dialettica, di verbi al condizionale, di “avrebbe”, di “risulta indagato secondo le ricostruzioni giornalistiche”, tutte le cautele classiche di chi non è sicuro di quel che dice.
Né potrebbe essere diversamente, perché la tesi della mozione si basa su fatti non documentati, non conosciuti da chi l’ha scritta.
Questo è un modo sbagliato di condurre la lotta politica.
Battiamoci sulle idee, sui programmi, sulle nostre iniziative, sulle grandi questioni di governo.
E se dev’esserci un attacco personale, che almeno avvenga su elementi di fatto reali, dimostrati, certi. Non su indiscrezioni sulle fasi iniziali di un’inchiesta non conclusa.

Per l’assenza di qualsiasi responsabilità civile o penale dell’onorevole Lotti e per le ragioni di fondo cui ho accennato, le senatrici e i senatori del Partito Democratico voteranno contro la mozione.

Potrei fermarmi a questa dichiarazione di voto e non aggiungere altro.

Ma ho ancora qualcosa da dire perché il rapporto tra Parlamento e giustizia, che il senso della mozione interpella in modo diretto, è troppo importante perché in questa sede non se ne faccia nemmeno un cenno.

Anche nelle circostanze meno favorevoli, anche di fronte a comportamenti parlamentari pretestuosi e provocatori, chi crede che la forza del Parlamento stia nell’essere il luogo del confronto democratico, non deve mai chiudersi al dialogo, né mai cessare di tentare di capire e far capire i diversi punti di vista, anche ai più irriducibili avversari politici.

Con questo spirito dobbiamo rivolgere alcune domande ai senatori del Movimento 5 stelle che hanno presentato la mozione.
Perché non dicono che genere di Stato vogliono? Che tipo di democrazia stanno cercando di imporre all’Italia? Ha ancora senso, per loro, la separazione reale e non solo formale del potere legislativo da quello giudiziario?
Sanno quanto profondo è il danno che viene alla giustizia, alla giustizia vera, quella dei giudici e dei tribunali, dall’abuso demagogico che ne stanno facendo nel tentativo di trasformare tutti i loro avversari in malfattori?

L’Italia ha sete di legalità, di dignità, di correttezza amministrativa, di politica pulita, di imprenditori onesti.

Ma l’Italia, lo dico al senatore Candiani che ha tanto parlato di paese reale, ha anche voglia di conoscere la colpa o l’innocenza dalle sentenze dei giudici e non dalle mozioni politicizzate, dai titoli dei giornali o da illegali fughe di notizie.
L’Italia ha voglia che il diritto torni ad avere il primato sulle campagne di disinformazione che quotidianamente cercano di trasformare l’inizio di un’indagine in una sentenza definitiva di condanna.
Come è possibile che tanti parlamentari non siano più capaci di aspettare l’esito di un procedimento giudiziario, quando tutti sappiamo che l’accertamento della verità è sempre lungo e difficile?

È grave che il Parlamento, contraddicendo ogni regola, solo per interesse politico, voglia distribuire censure in tutta fretta, sulla base di stralci di informazioni conosciute attraverso un’illegale fuga di notizie di un’indagine ancora allo stato preliminare.
È significativo che la mozione del Movimento 5 stelle indichi esplicitamente le “fonti giornalistiche” come unica origine delle informazioni sulla cui base è stata redatta.

Anche la magistratura, che pure dispone di penetranti poteri di accertamento, può sbagliare ed è per questo che la nostra Costituzione prevede tre gradi di giudizio. Ed è per questo che le fasi delle indagini e dell’istruttoria sono nettamente separate da quella del giudizio.

Sapete quanti sono gli uomini delle istituzioni dopo essere stati inquisiti, rinviati a giudizio, magari condannati o addirittura incarcerati, sono stati assolti dalla magistratura?
Ne ho contato un numero molto alto.
Col massimo rispetto per la magistratura, ben conoscendo le difficoltà del suo compito, ne ricordo solo alcuni tra i più recenti: Marino, Guidi, De Luca, Penati, Cesaro, Errani, Mastella, Frisullo, Bubbico, Gasparri, Graziano, Favìa e Pizzarotti.

E fatemi ricordare che molti firmatari della mozione che stiamo discutendo, davanti a un evidente caso di fumus persecutionis, nel luglio del 2015 hanno votato per l’arresto di un nostro collega che, pochi mesi dopo, ha visto annullate dalla Cassazione sia le esigenze cautelari, sia i gravi indizi di colpevolezza sulla base dei quali era stato richiesto il suo arresto.
Vi siete mai chiesti, colleghi del Movimento 5 stelle che avete votato per quell’arresto, che sarebbe successo se anche i senatori del Partito Democratico si fossero fatti prendere dal vostro invito a trasformare il Senato in un tribunale politico?
Se non ve lo siete chiesto, ve lo dirò io.
Per la vostra voglia giustizialista quel Senatore che volevate far arrestare avrebbe dovuto subire ingiustamente 99 giorni di carcere.

La mozione che stiamo discutendo non riguarda solo l’onorevole Lotti ma, più in generale, ha molto a che fare con la piega che, nelle più svariate circostanze, vanno prendendo i nostri lavori.

Portare alla discussione dell’Aula questioni così pretestuose, in una fase tanto difficile per l’Italia e per l’Europa, non qualifica certo in modo positivo l’attività del Senato.
Dobbiamo continuare a credere al primato della democrazia rappresentativa.
Ma contemporaneamente dobbiamo sapere che la democrazia è un meccanismo molto delicato e fragile, che può indebolirsi facilmente, in primo luogo per un cattivo funzionamento del Parlamento, che della democrazia è il centro costitutivo.
Perché il Parlamento possa ben funzionare è necessario che i gruppi e i singoli parlamentari applichino con scrupolo quotidiano la lettera e lo spirito dei regolamenti.
Ma serve anche che dimostrino nei comportamenti di sapere che quello che appare essere il loro interesse politico, non sempre coincide con la verità.

Il Parlamento italiano non si salverà se non riuscirà ad abbandonare l’abitudine alla quotidiana delegittimazione dell’avversario con tutti i mezzi, dimenticando che la divisione dei poteri non è un concetto levantino, interpretabile a seconda degli interessi del momento.

Se vogliamo che le prerogative del Parlamento vengano rispettate, dobbiamo ricordarci che nel nostro ordinamento c’è un solo luogo dove si fa giustizia: il tribunale.


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