«Non ci sarà un giorno in cui accendiamo la luce e tutto sarà come prima. Anche perché nulla sarà come prima». A Tommaso Nannicini, economista prestato alla politica, ex consigliere di Matteo Renzi e ora senatore del Pd, non chiedete quando fabbriche e attività potranno riaprire. «Non si decidono le date senza dati, permettetemi il gioco di parole. E visto che molti di questi dati fondamentali sono sanitari, è bene partire da quelli».
Senatore, l`associazione delle piccole imprese Confapi ha fatto una proposta: per far ripartire le fabbriche in sicurezza paghiamo noi i test ai lavoratori. Rientra solo chi è guarito o non è stato contagiato.
«Io lo avevo proposto per il protocollo con le parti sociali: facciamo i test a tutti i lavoratori, anche per loro tranquillità. È l`unico modo per mappare il contagio seriamente».
Ancora non è stato fatto, ma il numero di tamponi e test sierologici sta aumentando. Ma in tanti chiedono di far ripartire fabbriche, locali, attività prima possibile. Quando potrà avvenire secondo lei?
«Non ci sarà un giorno in cui accendiamo la luce e l`economia riparte. Non dobbiamo discutere di quando riapriremo, ma di come riapriremo. La transizione potrebbe durare anche per i prossimi due anni, e per gestirla dobbiamo raccogliere e analizzare dati intelligenti sui possibili rischi di nuovi contagi».
Quindi prima secondo lei bisogna capire davvero l`entità dell`epidemia.
«Sì. Ma sia chiara una cosa: dobbiamo spiegare alle imprese, ai lavoratori e ai cittadini che la transizione sarà lunga. Dovremo convivere a lungo col Coronavirus».
Anche quando ci sarà il vaccino?
«Dovremo farlo a 6o milioni di persone. Anche se fosse realizzato velocemente si parla comunque di un anno, una lunga fase di transizione che dobbiamo gestire. Vede, è giustificabile che la politica, tutta, si sia fatta trovare impreparata al Coronavirus. È successo praticamente ovunque. Quello che non è accettabile è farsi trovare impreparati dalla transizione. Ora lo sappiamo: dobbiamo programmare».
Cosa ne pensa delle date indicate dal suo amico ed ex compagno di partito Matteo Renzi?
«Le ripeto, il tema non è quando, ma come. E lo stesso Renzi è stato il primo a porre il tema del come in aula al Senato. Cioè di come, piano piano, si accompagna l`economia e la società alla ripartenza».
E, quindi, come si fa?
«Ci sono cinque decisioni da prendere. Dobbiamo decidere chi lavora: per esempio se far tornare a lavoro i giovani, e in quali filiere. Come si lavora in modo nuovo nelle fabbriche. Dove si può o si deve vivere. Come ci si muove. E come tutti anche quelli che non lavorano arrivano a fine mese. Queste cinque cose, ci piaccia o no, che si sia liberisti o meno, dovrà deciderle in gran parte lo Stato: monitorando i dati in modo intelligente. Da qui l`importanza di fare i tamponi a tutti, per valutarne andamento e evoluzione. I dati devono essere raccolti per programmare, dando certezze sulle scelte, non con un decreto a settimana o una conferenza stampa in tarda serata con l`ansia. Inoltre, lo Stato deve essere trasparente e semplice, perché sarà invasivo. Non può mandarti a chiedere in banca l`anticipo della cassa integrazione con un modulo prestampato o chiederti di accedere a bonus con “click impossibili” sul sito dell`Inps. Dobbiamo essere semplici, altrimenti la transizione andrà in tilt».
Ammettiamo che ci siano dati rassicuranti per un gruppo di lavoratori: quali fabbriche riaprono?
«Ovviamente si parte da quelle essenziali. Non per settori, ma per filiere che permettano di far lavorare i settori essenziali: alimentare, sani taria, logistica, energia e tutto quello che permette a queste di lavorare in sicurezza. Ci sarà da ripensare gli spazi pubblici: avremo bisogno di architetti, designer e manager. Le imprese dovranno cambiare l`organizzazione del lavoro e degli spazi. Dovremo introdurre molta capacità di smart working, che non è solo telelavoro e strumenti digitali, ma per molte attività sarà necessario ripensare la disposizione degli spazi fisici di produzione, distribuzione, vendita».
Chi ripartirà più tardi?
«Turismo e spettacoli per fare due esempi. Occorre quindi iniettare liquidità per farli sopravvivere e permettergli di produrre con servizi digitali dove possibile. Forme nuove per dare risposte alla domanda di bello e socialità.»
Innovare, cambiare, adattarsi: insomma essere resilienti. Ci sono indici precisi calcolati usando indicatori sul mercato del lavoro, capacità di manovra fiscale, investimenti, sanità. L`Italia è resiliente?
«No: siamo fragili e siamo arrivati a questo choc fragili. Se usi le tue risorse per prepensionamenti a 62 anni e non per la sanità, in bonus a pioggia e non per investimenti produttivi, arrivi fragile a prove del genere. Ma i nostri limiti di fronte all`enormità di questo choc non possono essere la scusa per piangersi addosso. Dobbiamo invece rimboccarci le maniche. I Paesi che usciranno meglio da questa crisi sono quelli che hanno macchine pubbliche che orientano le risorse dove c`è bisogno reale: le filiere più deboli, i lavoratori più precari. Dobbiamo svegliarci. E purtroppo, o l`Europa si dà una mossa, o con il debito che abbiamo non avremo lo spazio fiscale della Germania per trovare le risorse necessarie. O ci saranno i “Coronabond”, che non servono solo all`Italia ma a tutta l`Europa per dare risposte forti a questa crisi, o avremo pochi spazi».


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