In queste settimane siamo protagonisti, nostro malgrado, di un evento che cambierà sensibilmente le nostre lenti sul mondo, i nostri sistemi economici, la modalità di relazione tra gli uomini.
Se ne scorgeranno i caratteri nuovi tra non molto e nuovi paradigmi, come sempre nella storia, sostituiranno i vecchi, incapaci di adattarsi ai cambiamenti.
Ma se c’è un mutamento già presente e indiscutibile è nella tradizionale classificazione geopolitica, nella ormai museale suddivisione del mondo in blocchi est e ovest, democrazie e regimi autoritari, alleati, competitori e nemici e così via.
E non perché alcune di queste antinomie non abbiano ancora un fondamento ma perché pare emergere prepotente una nuova grande polarizzazione, tra gli stati che considerano la persona preminente rispetto al mercato e quelli invece che ritengono la persona sacrificabile alla ruota invincibile del business as usual.
Ovviamente dentro questa nuova dicotomia vi sono e vi saranno contraddizioni, nuances, differenziazioni e temperamenti e anche cambi di campo improvvisi, ma di fatto siamo difronte a un nuovo corso nei rapporti internazionali.
La cronologia di questo mutamento quasi genetico è datata quasi quarant’anni, dal trionfo liberista di Thatcher e Reagan, ma l’ora ufficiale è scoccata con la conferenza stampa del premier inglese Johnson, il quale pur ammettendo di trovarsi dinanzi alla più seria emergenza sanitaria in una generazione e che il numero reale dei contagiati in Gran Bretagna potrebbe aver già toccato i diecimila, non annuncia alcuna misura, salvo l’invito a lavare bene le mani, e di contro avverte i sudditi che ‘many more families are going to lose loved ones’.
La tesi è che non si debba fermare l’attività economica dell’isola che ha ritrovato la sovranità ex imperiale bensì sia preferibile che la popolazione sviluppi da sé anticorpi al virus, quando, ammalatasi per il 60% si realizzerà, forse, la cosiddetta immunità di gregge in grado di superare il problema alla radice.
Il prezzo da pagare è la decimazione del proprio popolo, nell’ordine di almeno mezzo milione di persone, per lo più anziane o già afflitte da patologie e, si intende, per lo più povere e incapaci di curarsi.
Questa tesi che Giuliano Ferrara definisce, non senza compiacimento, di ‘scrematura’ della popolazione, è di fatto una sorta di eugenetica liberale, di darwinismo programmato che fa il paio con il darwinismo sociale proprio del turbocapitalismo, in cui gli animal spirits non trovano argine alcuno nel potere pubblico.
Dobbiamo analizzarlo così com’è. La più antica democrazia del mondo moderno ritiene la persona umana sacrificabile rispetto alle esigenze del mercato e dell’economia.
Di contro, la Repubblica popolare cinese che è lontana dagli stilemi della democrazia rappresentativa e verso la quale è doveroso alzare la voce sul tema dei diritti umani, e pur avendo una enorme popolazione che si avvia al miliardo e mezzo di individui, decide di porre in essere una strategia aggressiva di contenimento del virus, blocca il proprio sistema economico, potenzia a dismisura quello sanitario, salva la vita di migliaia di cittadini e, di fatto, sconfigge il virus.
In queste settimane e per i prossimi mesi l’Italia fa lo stesso, con una diversa vivaddio sensibilità democratica sulle ordinanze coercitive, ma adotta la stessa strategia, speriamo vincente in un tempo breve medio.
La più grande e potente democrazia del mondo, gli Stati Uniti, sulle prime pareva allinearsi per l’intero alla tesi inglese. Ci troviamo di fronte a un’influenza stagionale potenziata, che farà molti morti ma il business non si tocca, le prime indicazioni.
La dimensione del contagio è divenuta tale che persino Trump, capace di mille istrionismi, ha dovuto cambiare idea, anche sotto la pressione di uno scontro feroce con i Democratici, assumendo una posizione ormai terza rispetto alle due polarità citate.
L’economia americana non si ferma ma si produce un investimento straordinario di risorse con cui affidare a Google lo screening totale dei cittadini e alla sanità e alle imprese farmaceutiche private si rimette la gestione della sfida al virus, sia nella diffusione capillare dei tamponi, sia nella cura della malattia.
In sintesi, sorveglianza totale e azioni di contrasto affidate a imprese private del capitalismo galoppante, per quanto sotto l’egida di coordinamento del vice presidente Pence. Una strategia meno ingenua e cinica di quella di Johnson ma sempre nel solco ultramercatista.
È evidente che molto potrebbe cambiare se a novembre si dovesse affermare una guida democratica, con cui condividere per il futuro valori di umanesimo e di progresso.
In queste ore, la Spagna segue la strada italiana del blocco totale, la Repubblica Ceca fa altrettanto, Israele vi ragione e la Francia, pur con qualche timidezza e ritardo, assume le prime misure draconiane che potrebbero preludere alla quarantena.
Dalla grande Germania trapela poco. La cancelliera Merkel all’inizio si orientava verso la tesi dell’immunità di gregge, avvertendo della necessità che il 60-70% di tedeschi in fondo questa influenza avrebbe dovuto prendersela, mostrando una però sostanziale fiducia, per molti versi fondata, nell’efficienza e soprattutto nella dimensione del proprio servizio sanitario pubblico.
Nelle prossime ore capiremo meglio se alcune misure restrittive anticontagio e straordinari stimoli all’economia possano anticipare un parziale cambio di passo, sulla base dell’indice di diffusione del virus.
Questo nuovo schema uomo versus mercato, nuovo solo nel senso che attraversa forme di governo e ascisse e coordinate spaziali in modo inusitato rispetto a un tempo, finisce per rendere la distinzione tra destra e sinistra, riformulate nel senso di economia al servizio della persona integrale nella concezione progressista e libero mercato come valore in sé nella concezione conservatrice, più attuale che mai.
Più attuale che mai diventerà la battaglia di chi vorrà recuperare il ruolo dello Stato nei servizi essenziali e nei monopoli naturali contro chi proseguirà nelle scelte del laissez faire.
La battaglia tra chi riaffermerà la progressività dell’esazione fiscale contro le sperequazioni sociali ed economiche.
La battaglia tra chi vorrà riappropriarsi di settori strategici, anzitutto relativi alla sussistenza, alla cura, all’approvvigionamento di beni essenziali dentro la propria comunità statuale o comunque attraverso azioni di comunità e di privato sociale, e coloro che pensano che la globalizzazione trionfante ne impedisca l’affermazione.
E la vera incognita sarà l’Europa, l’Unione europea e la sua capacità o incapacità di rispondere collettivamente alla crisi.
Fa bene il segretario del PD Zingaretti a scrivere ai leader dei partiti progressisti europei. È il momento di unirsi a testuggine nella difesa dell’Uomo, nella costruzione o ricostruzione di un welfare efficiente ed aperto a tutti, di un nuovo modello di sviluppo, in cui la difesa delle fasce sociali più deboli, la valorizzazione del lavoro e la ricerca la solidarietà tra gli Stati, diventino alla luce di questa emergenza obiettivi di stringente attualità.
Quasi insperatamente, nella stagione delle paure, la fiaccola del socialismo democratico può tornare a illuminare il cammino dell’uomo, in una grande unione di stati, tra est e ovest, rompendo i tradizionali steccati, per impedire che l’uomo diventi una merce come un’altra del turbocapitalismo globale nelle mani di pochi.


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