Con la fase 2 è iniziata di fatto la sfida più delicata e complessa delle tante che l’epidemia da Covid-19 sta portando con sé.

Senza troppi giri di parole: siamo di fronte all’esigenza di evitare che la crisi economica, di cui ancora non abbiamo visto tutte le sue profonde declinazioni, si trasformi in un possibile scontro sociale.

Con questo primo allentamento del lockdown, possiamo dire di aver superato la fase acuta che ha interessato primariamente il sistema sanitario, ai cui tanti operatori dobbiamo, ora e sempre, un sentito ringraziamento per l’eroica tenacia con cui hanno fatto fronte all’invasione di un nemico così subdolo.

Ma questa fase 2 non è che l’inizio di un processo piuttosto lungo, delicato e impegnativo, durante il quale il paziente speciale sarà il sistema Paese tout court.

Va detto, per amore del vero, che durante la fase acuta il governo ha agito con tempestività, conferendo sostegno ai diversi soggetti e secondo differenti modalità. Si è provveduto, infatti, a estendere il più possibile le garanzie salariali con la cassa integrazione, con la previsione di bonus alle partite iva e ai professionisti, con l’apertura di nuovi e appositi canali di accesso al credito facilitati per le imprese.

È chiaro che la ratio che sostiene questo tipo di interventi si basa sull’emergenza e pertanto non possono essere considerati come strutturali. Ora, invece, è il momento in cui occorre costruire una strategia capace di rimettere in moto quel virtuoso scambio che vede cooperare il sistema produttivo con la forza lavoro. Si pensi, ad esempio, al settore del turismo e dell’export sui quali è necessario agire massicciamente per contrastare la prevista, inevitabile contrazione del mercato e salvaguardare le posizioni di vertice e le performance guadagnate negli ultimi anni.

La gravità di questo momento, che si palesa già con la previsione del più cospicuo calo del Pil dagli anni della seconda guerra mondiale – non soltanto per l’Italia (-9,5%) ma per l’intero contesto delle economie avanzate (-6,4%), secondo le ultime stime della Commissione UE – richiama automaticamente l’impellenza dell’unità e della coesione, come più volte saggiamente sollecitate dal presidente Mattarella.

La ricerca di una più ampia condivisione della strategia di ricostruzione del nostro Paese non è da considerarsi come un vezzo narcisistico o una ennesima battuta di caccia al consenso plebiscitario.

Tony Blair, nella sua autobiografia “A Journey” scriveva “the moment you decide, you divide”: il momento in cui decidi, tu dividi.

Ecco, quindi, che le scelte che saremo a breve chiamati ad assumere richiederanno una condivisione tale da superare quella dimensione della politica che si soddisfa nel mero consenso (e che negli ultimi tempi si consuma in una declinazione più greve com’ è la caccia all’ultimo like), per uno spessore invece più nobile, con l’obiettivo di scongiurare in ogni modo, in tutti i modi, le torsioni di un’implacabile recessione economica: salus rei publicae suprema lex!

Tutti devono sentirsi chiamati a fare la propria parte: e questo si comincia a fare proprio abbandonando in primis gli interessi di parte.

Ho stigmatizzato, pochi giorni fa anche in Aula a Palazzo Madama alla presenza del premier Conte, l’atteggiamento di quegli istituti di credito che stanno tradendo l’impegno siglato con il governo e che, in alcuni casi, stanno rendendo complicato e in diversi casi impossibile l’accesso ai prestiti da parte delle imprese, o addirittura prevedendo un uso distorsivo di questi prestiti a copertura di precedenti esposizioni.

Dare liquidità è la cura primaria e fondamentale per mantenere in vita il sistema economico del Paese e non c’è spazio per chi cerca di approfittare per coltivare il proprio “particulare”.

Al governo spetta adesso fare il necessario balzo in avanti rispetto ai precedenti decreti, perché la vera scommessa per far ripartire la locomotiva italiana non può stare solo nell’elargire sussidi che, tra l’altro, in ragione del nostro debito pubblico monstre – 158,9 % del PIL secondo le ultime stime della Commissione UE – non possiamo permetterci in modo prolungato, ma nel recuperare quante più risorse possibili da convertire in efficaci investimenti.

Ecco perché da questa crisi si potrà uscire solo attraverso l’unità.

Vale nel nostro contesto nazionale e vale a maggior ragione nel più ampio contesto europeo, dove è giusto chiedere solidarietà e sostegno, ed è altrettanto giusto vederli corrisposti in quell’Europa che è espressione dell’eredità di pensiero di giganti come De Gasperi, Spinelli o Monnet.

E ci si potrà rialzare quando recupereremo (anche) l’innata socialità dell’uomo. Sbaglia, e di molto, infatti, chi afferma che a causa del Covid 19 “niente sarà più come prima”.

Indubbiamente, uno tra gli effetti più sconvolgenti legati all’epidemia di questo virus è stato proprio l’annientamento del campo vasto dello spazio pubblico, avendo colpito alle radici lo spazio fisico che è quello in cui si esplica la nostra socialità, quello in cui la sfera personale/individuale incontra quella pubblica/sociale.

Ma niente e nulla potrà mai cancellare il carattere irriducibile dell’essere umano che sta proprio nella sua socialità.

Siamo e continueremo a essere “animali sociali”: torneremo alla nostra normalità, alle consumate routine come il caffè preso di corsa e gomito a gomito con altri al bancone del bar, alle strette di mano a lavoro, alle pacche sulle spalle agli amici, agli abbracci dopo il goal della nostra squadra del cuore: l’Italia.


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