CARO direttore, la Fiat invita la presidente della Camera a visitare la Sevel, cicerone Sergio Marchionne, ma Laura Boldrini rifiuta e manda una lettera in cui invoca diritti, ricerca, cultura e innovazione. E uno strappo. Ma poi? C’è modo e modo di visitare le fabbriche. Si può andare a Melfi, come fece Mario Monti per sponsorizzare Marchionne ed esserne sponsorizzato. Ma si può anche andare a vedere, con la fabbrica, il gioco del suo gerente. Pensi la presidente Boldrini quante questioni avrebbe potuto porre tra un robot e l’altro, in favore di telecamere: perché Fiat Industrial sposta la holding all’estero e si dota di due classi di azioni? Fiat Spa farà lo stesso? Come sopravviveranno gli impianti italiani se Fiat cercava la riduzione concordata e sussidiata delle capacità produttive tra le case europee? Come si regolerà dopo la sentenza della Corte sui sindacati? Perché Fiat investe nel Corriere? Magari, sentite le risposte del suo ospite, con grazia pari al piglio istituzionale, la signora Boldrini avrebbe potuto confessare la diversità delle sue competenze rispetto alle questioni industriali e invitare Marchionne a confrontarsi in un’audizione. Un’occasione perduta, dunque? Forse no. Marchionne sa che la Commissione Industria del Senato è pronta per quel dialogo pubblico e attento al merito, che nei giorni scorsi è mancato e che, in una democrazia parlamentare, non può essere scansato con una visita al Quirinale, una in via Veneto e un invito alla seconda carica dello Stato. La nuova politica industriale nasce dal confronto sulle cose, carte allamoano, è non dalle opposte retoriche.

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