In questi giorni molti genitori hanno raccontato che, nelle lunghe ore del lockdown, hanno scoperto il piacere di vedere i film insieme ai figli, condividendo un momento di svago che è diventato anche di scoperta reciproca nei giorni in cui è stato necessario riscrivere l’alfabeto degli affetti e delle relazioni familiari, stravolte dall’isolamento forzato.

La valenza formativa e riflessiva del cinema è ancora sottostimata, nonostante i film facciano parte a pieno titolo degli strumenti formativi, in quanto prodotto culturale significativo. L’irrompere imprevedibile delle immagini stimola l’insorgere di emozioni ed accresce l’attenzione degli spettatori che si trovano immersi nella “irreale-realtà” filmica, quasi “risucchiati” dentro il set, come ci ricorda Woody Allen nel suo “La rosa purpurea del Cairo” dove la realtà dello schermo e quella della poltrona degli spettatori si confondono.

Questo paradigma è stato ulteriormente amplificato dall’emergenza perché molte persone, dentro ai film, hanno ritrovato una dimensione “esterna” ed “esteriore” che è stata necessariamente mortificata dalla quarantena. Hanno trovato gli strumenti per fare nuove letture ai fenomeni in corso. Ma non solo, nella visione intergenerazionale è stato possibile trovare un anello di congiunzione comunicativa in una fase di grande smarrimento per i figli ma anche per gli adulti, costretti a cercare chiavi nuove per esprimere e gestire la genitorialità in una situazione imprevista e imprevedibile.

Proiettando sullo schermo il “possibile”, ciò che “può essere”, anche non previsto da noi nelle situazioni della quotidianità grigia che ci appaiono senza futuro, il cinema ci offre una potenzialità “generativa di futuro”, allena l’occhio all’imprevedibile e all’imprevisto. Non necessariamente rosa, anche terribile e angoscioso, ma pur sempre possibile. E, mai come oggi, questa “modalità”, è stata utile ad affrontare un evento tanto travolgente.

Insomma, la visione in famiglia di un film (alcuni più di altri, ovviamente) ha aiutato a nutrire le competenze emotive, a rafforzarle, dimostrandosi uno strumento essenziale in questo momento. Perché il cinema, se usato intenzionalmente come strumento per potenziare la consapevolezza emotiva o trasformare la prospettiva dello sguardo sui vissuti esperienziali, può diventare occasione di cambiamento, di sostegno, di rielezione e crescita personale.

Guardare un film è sempre, guardarsi “in” un film perché ogni film parla di noi, delle nostre storie, delle nostre attività, delle nostre esperienze e degli stati d’animo che le accompagnano. Proiettando sullo schermo la nostra vita il cinema ci permette di osservarci specularmente nelle situazioni che ci corrispondono e ci coinvolgono. I fotogrammi di vita riportano sullo schermo il nostro mondo interiore e noi possiamo scoprire nuovi aspetti della vita, anche dolorosi, ma “al riparo”, nella zona franca della poltrona di spettatori, dove possiamo identificarci con i personaggi e immedesimarci nei loro vissuti, imparando qualcosa di noi.

La pietà, l’amore, lo sdegno, l’orrore, il dolore, le ambiguità e le oscurità del mondo interiore, vissuti attraverso la narrazione dei personaggi, ci mostrano la nostra storia e, al tempo stesso, danno indicazioni per il nostro percorso esistenziale. Proporre a bambini e adolescenti di vedere e poi commentare insieme un film è un’esperienza educativamente significativa che può insegnare a leggere la realtà dei sentimenti umani, a sviluppare l’immaginario, a costruire relazioni di senso con gli adulti, in questo caso i genitori.

Apprendere gli alfabeti dell’intelligenza emotiva è indispensabile per uno sviluppo autentico dell’esistenza nella relazione con sé stessi e con gli altri. La mancanza di questa competenza affettiva ci rende molto più vulnerabili, ma anche più insensibili alle vulnerabilità degli altri, incapaci di accorgerci quando stiamo ferendo qualcuno con le nostre parole o con i nostri comportamenti.

Una doppia educazione ai sentimenti, quella di genitori e figli, alla ricerca di un senso nell’imprevedibile. non deve essere confusa con il sentimentalismo. Un percorso significativo per rapportarsi agli altri, per essere più coraggiosi e fiduciosi, per avvalersi di tutta la ricchezza del mondo interiore per trarne forza in una situazione tanto difficile.

I film diventano “ri-flessi che ri-flettono” aspetti di vita anche per comprendere la correlazione circolare tra il sentire e l’agire: quando una situazione di paura genera infelicità o disperazione; quando la frustrazione genera rabbia; quando una possibilità minacciosa genera paura; quando il rifiuto, il fallimento o il desiderio di accettazione inascoltato generano delusione, rancore, amarezza; quando l’ira genera comportamenti di aggressività o isolamento; ma anche quando l’empatia genera conforto; quando l’amore e l’amicizia generano appagamento e speranza; quando l’oppressione si trasforma in leggerezza e produce il desiderio di guardare avanti.

La macchina da presa ci porta, soprattutto se guidata in modo intelligente, a formulare questo possibile repertorio di riferimento che si può condividere attraverso la proiezione sullo schermo, mostrando quanto possiamo “osservare” e “osservar-ci” nei comportamenti, nei gesti e nelle parole che rappresentano le conseguenze dei vissuti e delle relazioni. Genitori e figli possono quindi in un certo senso “ritrovarsi” e “riconoscersi” in una reciprocità nuova, ritrovandosi dentro un film.


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