I centri estivi per bambine e bambini, ragazze e ragazzi stanno riaprendo dopo il via libera del Comitato tecnico-scientifico e la definizione delle linee guida. Sarebbe una notizia da accogliere con grande sollievo e soddisfazione, se non fosse per le difficoltà realizzative e gli aumenti esorbitanti delle tariffe. In molti comuni, infatti, le famiglie si trovano costi più che triplicati. Il tema è che, a fronte di enti locali virtuosi, ce ne sono molti non in grado di dare applicazione alle norme necessarie per garantire a tutti l’accesso a un servizio che oggi è più che mai essenziale.

Sappiamo bene il dramma della solitudine nel lockdown vissuto da molti ragazzi con tutte le conseguenze che si porta dietro a livello emotivo e la fatica che hanno fatto le famiglie a gestire la quotidianità, tra smart working e didattica a distanza. E adesso, quando i genitori sono richiamati a svolgere il proprio lavoro in presenza, c’è bisogno più che mai di reti di sostegno territoriali, soprattutto per non delegare ai nonni (quando ci sono) il compito del welfare familiare.

Va detto che il criterio dell’ISEE, parametro valutato per ottenere il sostegno, fa riferimento allo scorso anno e, dunque, non tiene in considerazione il fatto che, durante l’epidemia, molti nuclei familiari hanno visto il loro reddito ridursi drasticamente rispetto ai dodici mesi precedenti. In questo modo, il rischio di penalizzare e lasciare fuori le famiglie più fragili diventa molto serio. Che le spese per i centri sarebbero cresciute era inevitabile: tra esigenze di sanificazione, aumento del personale, acquisto dei necessari dispositivi di sicurezza.

Proprio per questo il governo ha investito una prima tranche di risorse per dare una risposta a queste necessità: 150 milioni di euro agli enti locali per avviare i centri estivi e 35 milioni ai gestori, il terzo settore e volontariato che svolge un ruolo decisivo sui territori nella realizzazione di politiche di sostegno al benessere collettivo e alle fragilità. In alcuni casi, i rincari appaiono davvero fuori scala. In una fase come questa, infatti, la peggiore dal dopoguerra ad oggi, le istituzioni hanno la responsabilità di gestire la crisi e dare risposte, ma anche cittadini e imprese devono stringere un patto sociale che metta in campo anche la loro responsabilità. Perché se vogliamo ricostruire il Paese dobbiamo farlo tutti insieme all’insegna dell’etica, del rispetto, del lavoro e della volontà di perseguire un primato all’educazione.

In questo quadro vi sono realtà virtuose che meritano di essere segnalate. L’Emilia Romagna, per esempio, ha confermato per il terzo anno consecutivo, e nonostante le enormi difficoltà del momento, il bonus economico alle famiglie per sostenere i costi delle rette di frequenza ai centri estivi. La dimostrazione che si può fare una scelta politica in direzione delle famiglie e del benessere psicofisico dei bambini e degli adolescenti.

Si tratta di 6 milioni di euro, provenienti dal Fondo sociale europeo per finanziare il progetto di conciliazione dei tempi lavoro-famiglia. In molti Comuni si è lavorato, inoltre, insieme al mondo dell’educazione, agli enti locali, al terzo settore e agli esperti per trovare un equilibrio che garantisca il diritto alla socialità di bimbi e ragazzi e la necessità di trovare soluzioni didattiche innovative per tutelare la sicurezza di tutti.

Non cesserò mai di ricordare come oggi bambini e adolescenti abbiano l’esigenza di uscire dalla solitudine che hanno vissuto in questi mesi e che ha prodotto ansia, paura, disturbi dell’umore. Il contatto fisico e il movimento rappresentano una dimensione essenziale per ognuno di loro. In un’epoca in cui il digitale è diventato una dimensione dell’esistenza, è essenziale non perdere ulteriormente il contatto corporeo: un deficit che deve essere recuperato con tutti gli sforzi possibili.

Una recente indagine di Telefono Azzurro indica una crescita prepotente delle richieste di aiuto sul disagio psicologico. Per questo, è fondamentale anche ridare vita alla rete dei centri estivi e consentire al maggior numero possibile di ragazzi di potervi accedere. Ricostruire una rete di socialità e relazioni di fiducia consentirà ai più giovani di misurarsi con ciò che hanno vissuto, riconquistando dimensioni dell’esistenza legate al riconoscimento dell’altro, alla condivisione dell’esperienza e alla riconquista di un senso delle relazioni.

Il problema più difficile rimane la fascia di età 0-3. Mi rammaricano molto le parole pronunciate oggi dalla Ministra Bonetti, nel corso di un colloquio con la Repubblica, sull’impossibilità di procedere in tempi rapidi alla riapertura dei servizi destinati a questa fascia di età. Eppure, nell’ultima legge di bilancio sono state stanziate importanti risorse per questo segmento. Ritengo che si debba e possa fare di più. Parliamo di un settore fondamentale per la vita delle nostre comunità: 60 mila educatrici, professioniste qualificate, che meritano attenzione e di 200 mila bambini che resteranno senza asilo nido.

Nel momento in cui si riaprono le discoteche, le spiagge e i negozi, non si trova il modo di far ripartire lo 0-3. Un settore dove, oltre ai nidi pubblici, lavorano anche tantissime paritarie che integrano in modo straordinario l’offerta e che ora rischiano di chiudere. Parlo di molte cooperative sociali, spesso di piccole imprese al femminile, che danno sostegno e creano lavoro. E’ arrivato il momento di riaffermare che l’educazione 0-6 è il primo dei diritti e che serve, con urgenza, uno sforzo in più. I bambini, le famiglie e il mondo degli educatori non possono più aspettare.


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