Al direttore – A distanza di 20 anni dalla sua morte, deve essere possibile finalmente ragionare della stagione di Bettino Craxi, con calma, e raziocinio. Ad esempio mi aspetto che dal centrosinistra parta una discussione che riconosca i meriti storici del leader socialista e comprenda fino in fondo le conseguenze della stagione di Tangentopoli. Bettino Craxi fu, a mio avviso, dagli esordi della sua avventura politica fino a Palazzo Chigi, un socialista liberale II suo filo conduttore fu spingere sulla produzione della ricchezza, con la dotazione di strumenti per per seguire il fine di una maggiore giustizia sociale tramite adeguate politiche redistributive. Craxi fu anche un precursore dei tempi, quando pose l’accento sulla “democrazia governante”, ovvero una grande riforma presidenzialista, che desse più peso alla volontà degli elettori. Ma è soprattutto sulla battaglia culturale e sull’identità, che a Craxi va riconosciuta una vittoria storica nell’alveo della sinastra, e il riferimento è al noto “saggio su Proudhon. “Leninismo e pluralismo sono termini antitetici: se prevale il primo muore il secondo”, scriveva Craxi nel noto articolo del 1978 pubblicato dal settimanale l’Espresso, “dobbiamo muoverci in direzione opposta a quella indicata dal leninismo: dobbiamo diffondere il più possibile il potere economico, politico e culturale. II socialismo non coincide con lo statalismo. Il socialismo… è la via per accrescere e non per ridurre i livelli di libertà e di benessere e di uguaglianza”. Che Craxi avesse ragione da vendere, nella polemica intellettuale con Enrico Berlinguer, sono stati i fatti successivi al 1978 a stabilirlo oltre ogni ragionevole dubbio. Per questo la sinistra del secolo nuovo dovrebbe avere il coraggio di riprendersi in toto il pensiero libertario e socialista da cui partì il leader del Psi. Bettino Craxi fu anche l’imputato simbolo di una stagione che agli inizi degli anni 90 stava per sorgere. Le monetine al Raphaël, come grimaldello per imporre una strumentale sollevazione popolare, e il cappio esposto alla Camera dei deputati da un leghista, come simbolo di un giustizialismo assetato di sangue e di processi sommari, furono per l’appunto le prime manifestazioni di un’epoca in cui il risentimento sociale e l’odio, presero il sopravvento. Craxi ha avuto ragione sul profilo culturale (il Psi ci mise 15 anni ad arrivare sulle sue posizioni), sulle riforme, sulla scala mobile, sugli euromissili, resta solo il buco nero dell’esplosione del debito pubblico negli anni di sua pennanenza a Palazzo Chigi. A distanza di 20 anni dalla scomparsa per l’appunto, bisogna ñconoscere, che con lucidità, coraggio, E ANCHE con IMMANCABLI ERRORI, Bettino Craxi aveva ragione. La ragione storica che gli dobbiamo riconoscere e tributare deve essere distinta e separata dalla responsabilità che Craxi ha avuto nella concezione dei partiti come strumenti avulsi dalla legge, quasi extraterritoriali nella gestione delle risorse, responsabilità che il leader del Psi ha peraltro condiviso insieme a tanti altri.


Ne Parlano