Signor Presidente e onorevoli colleghi,

lo scorso 5 gennaio 2017, si è spento – per molti aspetti in modo improvviso – Tullio De Mauro.

Penso sia importante ricordarlo anche in quest’Assemblea dopo che in modo ampio e informato è stato ricordato pubblicamente, anche sulla stampa, da Giuliano Amato (che lo volle ministro nel suo ultimo governo), Alberto Asor Rosa, Francesco Erbani, Paolo di Paolo e tanti altri.

I motivi per cui penso sia essenziale tener sempre presente il contributo di De Mauro sono due, per me che sono figlia di immigrati del Meridione, venuti a cercare una vita migliore nella grande periferia di Milano.

Anzitutto, De Mauro ci ha spiegato che la lingua è un luogo.

La lingua, i suoi linguaggi, le sue parole, i suoi lessici sono una grande piazza alla quale si accede e dove si abita. Chi non sa parlare, non sa farsi capire e non capisce e quindi non ha accesso.

Non ha accesso ai diritti, non ha accesso alle opportunità, non ha accesso all’emancipazione. Quindi la lingua è un fattore di sviluppo e di uguaglianza. C’è un nesso stretto tra lingua, istruzione e democrazia.

In questo primo insegnamento, peraltro, De Mauro ci ha mostrato la sua passione per la conoscenza dei dialetti, per i modi di dire, per i neologismi. Egli svecchiò – anzi forse fondò – la linguistica italiana ma ne fece una scienza sociale, che esigeva il possesso dei tecnicismi ma poi andava oltre, cercando profondità storica e proiezione futura.

Non c’è bisogno qui di ricordare le sue due Storie linguistiche, quella “dell’Italia unita” del 1963, e quella “dell’Italia repubblicana”, una cui seconda edizione è del 2015.

Insomma, per De Mauro la lingua italiana è proprio un posto bellissimo, in cui possono abitare le città e le campagne, i centri e le periferie, i giovani e i meno giovani.

L’altro motivo per cui ricordo De Mauro è collegato al primo e ha un connotato eminentemente politico: la lingua – che è un fattore di sviluppo e di emancipazione – deve quindi contare su una scuola efficace, ricca e stimolante.

La sua ultima battaglia – quella sull’analfabetismo di ritorno – nasceva dalla riflessione che la scuola deve insegnare a imparare, a interessarsi sempre di tutto, al gusto della lettura.

De Mauro era anche molto ironico, ma la sua ironia era sempre mirata a smontare i luoghi comuni: diceva che leggere è un piacere solo per pochi, più spesso è una fatica, un’operazione intellettuale complessa.

Allora ecco che la scuola è un momento fondamentale per l’individuo ma anche per la collettività. La lingua e la cultura sono profili politici. De Mauro spiegava che se – viceversa – dalle conoscenze e dalle capacità acquisite a scuola si regredisce invece di avanzare, ci si perde e si smarrisce la strada per quella piazza così bella che è la nostra lingua.

Quella stessa lingua in cui è scritta la Costituzione. In un’introduzione a una pubblicazione della nostra Carta costituzionale, dell’UTET del 2006, De Mauro esaltava “l’italiano degli italiani”, la lingua chiara e profonda in cui sono scolpiti i nostri diritti e i nostri doveri e dove la dignità della persona è così ben rappresentata.

Grazie.