Caro direttore, fatta la riforma del Senato spetterà ai nuovi senatori far funzionare il bicaineralismo differenziato. Molti dubitano che le classi dirigenti delle Regioni sapranno davvero interpretare visioni e bisogni generali, raccordare la legislazione multilivello che scarica su cittadini e imprese norme europee, statali e regionali ed evitare di cedere alla frammentazione e al localismo.
Certo, la qualità delle classi dirigenti regionali formatesi in questo quindicennio di federalismo estremo non indurrebbe all`ottimismo. Il sistema regionale è stato storicamente condizionato dalla sua configurazione territoriale. Venti Regioni molto diverse per dimensione e popolazione ma tutte dotate dei medesimi poteri: di conseguenza, inidonee (ancor prima che incapaci) a diventare, secondo il progetto originario, motori di crescita, attrattori di investimenti, mallevatori delle vocazioni del territorio. Al con- trarlo, condizionate da dimensioni non adeguate a giocare questa partita (si pensi a Basilicata, Umbria, Marche, Liguria, Valle d`Aosta) ovvero sovrapposte ad altre realtà politiche e amministrative fortemente autonome (si pensi al Lazio che con la nascita della grande città metropolitana di Roma non ha davvero più ragione di esistere), le Regioni sono state fagocitate dalla gestione della Sanità che rappresenta un enorme potere di spesa e un altrettanto grande potere politico-elettorale. Per di più la riforma del 2001 ha ignorato le differenze di capacità amministrativa e gestionale illudendosi che, come per magia, entrate in vigore le nuove norme costituzionali, tutte le Regioni avrebbero saputo fare fronte ai nuovi compiti.
È quindi urgente ripensare il sistema delle Regioni a cominciare dal loro numero (che andrà praticamente dimezzato) e dal superamento di quelle a statuto speciale. Il tema è ormai maturo nel Governo e nel Parlamento. Le dimensioni delle nuove Regioni non potranno che essere legate al re- cupero del modello originario del nostro regionalismo assegnando al livello regionale il ruolo di progettazione e promozione economica e infrastrutturale, di legislazione e di raccordo interistituzionale nelle materie di competenza. Il che inevitabilmente comporterà anche la rideterminazione dei modelli di gestione dei servizi sul territorio a cominciare da quello sanitario da cui le Regioni dovranno essere liberate. Ma un altro punto chiave dovrà essere affrontato. Il nuovo articolo 116, quello, per intenderci, del cosiddetto «federalismo differenziato» tanto a lungo invocato da Lombardia e Veneto, consentirebbe con una legge ad hoc di attribuire a singole Regioni competenze in materie da cui sono oggi escluse. Dopo la riforma il trasferimento di ulteriori competenze potrà essere attivato esclusivamente a vantaggio delle Regioni che hanno i conti in ordine. È una modifica importante perché rompe il tabù del «siamo tutti uguali»; ma il principio della differenziazione dei poteri dovrà essere legato anche alla capacità amministrati- va e al livello di corruzione perché il regionalismo non metta in discussione, come oggi spesso avviene, l`uguaglianza dei diritti dei cittadini: perché ammalarsi in Lombardia non sia troppo diverso dall`ammalarsi in Calabria.
Se abbiamo a cuore la qualità della vita di tutti i cittadini non possiamo guardare solo ai conti. Dobbiamo verificare anche che ci siano standard amministrativi, di legalità, di trasparenza in assenza dei quali lo Stato deve intervenire a tutela delle comunità amministrate. E gli stessi criteri dovranno essere adottati per confermare le funzioni già attribuite. In altre parole mettere il cittadino al centro, non gli apparati politico-burocratici locali interessati a gestire potere amministrativo e di spesa. Dunque, fatto il Senato, ora bisogna fare i senatori. E bisogna farlo subito per evitare che il futuro Senato, in virtù di evidenti conflitti di interesse dei senatori, possa bloccare qualsiasi modifica dell`assetto attuale.

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