Siamo davvero alla svolta storica? Telecom Italia si appresta a scorporare la rete fissa per dare inizio a un nuovo ciclo di investimenti allo scopo di modernizzare l`Italia o sta semplicemente tentando di estrarre denaro dalla vecchia pancia del monopolio? 
Franco Bernabé ha inviato alla Cassa depositi e prestiti un informale tennsheet nel quale si prevede il collocamento sul mercato di una società della rete con Telecom in maggioranza assoluta nel capitale e nel consiglio di amministrazione, un prezzo dell`azione indicato dal venditore, sia pure sentita la Cdp, la quale dovrebbe garantire a fermo la sottoscrizione di metà delle azioni in offerta lasciando il resto al mercato. Questa nuova società dovrebbe avere solo l`ultimo miglio della rete in rame. Su questa rete, se ho capito bene, si dovrebbero effettuare investimenti per 3 miliardi entro il 2020 più altri 3 miliardi per portare la fibra agli armadietti e 800 milioni per entrare nelle case.
 Quella del presidente di Telecom Italia è l`apertura di una partita a scacchi. Prima di giudicarla perdendosi in astratte argomentazioni sulla concorrenza, conviene ottenere altre e più stringenti informazioni e decidere, anche come governo e come Parlamento, che cosa interessa all`Italia, visto che la Cdp appartiene per oltre tre quarti al ministero dell`Economia. Appaltare la politica industriale all`Autorità di garanzia per le comunicazioni o al mercato finanziario è come abdicare alle responsabilità dell`azionista.
 C`è un punto che non dobbiamo dimenticare: la cessione totale o parziale della rete fissa, Telecom Italia l`ha sempre potuta fare. Nessuno gliela poteva e gliela può vietare. Se finora non l`ha fatta, avrà avuto le sue ragioni. La principale delle quali sta nel fatto che anche oggi la rete fissa garantisce a Telecom Italia un ebitda (margine operativo lordo) del 53%, mentre le attività di servizio rendono parecchio meno e sono soggette alla triplice erosione generata dalla recessione, dalla guerra dei prezzi, soprattutto nel mobile e dalla dilatazione sempre più invasiva e deregolata dei nuovi colossi del web, da Google ad Apple, da Skype a Facebook.
Ora, Telecom ci prova. Prima di chiederci perché, dovremmo chiederle come. Anche dopo la presentazione di un primo documento all`Agcom, le questioni essenziali da chiarire sono otto: a) se Telecom debba scorporare solo l`ultimo miglio o non anche i router, magari a patto che i concorrenti facciano altrettanto; b) quali siano gli organici attribuiti alla rete scorporando in rapporto ad analoghe divisioni degli altri incumbent europei; c) da quali valutazioni della rete si debba partire nell`un caso e nell`altro; d) quale metodo di calcolo delle tariffe, se orientato al costo o alla consistenza patrimoniale, sia sotteso a quelle valutazioni; e) di quanto debito e di quanto capitale sia composto il valore della rete oggetto dell`operazione; f) quale ritorno economico-finanziario sia congruo per Telecom, data la composizione del capitale investito e le tariffe reclamate; g) quale differenza esista tra il piano di investimenti proposto alla Cdp e quello che, eventualmente, Telecom Italia attuerebbe stand alone; h) se, come credo, non ci dovrebbe una sensibile differenza perché 7 miliardi in sette anni non sembrano così tanti, quali siano le ragioni per le quali oggi si prospetta l`intervento della Cdp in posizione minoritaria?
 Ad alcune di queste domande si possono dare risposte maliziose. I malevoli potrebbero pensare che tutta questa operazione serve a generare una plusvalenza con cui il consiglio di amministrazione in scadenza farebbe bella figura presentando il bilancio 2013 nella prossima primavera. Ma Bernabé non è uomo da simili astuzie. In passato ha retto alle sirene che cantavano i vantaggi della vendita di Tim Brasil, e ha fatto bene. Se ora dice che ha in mente un piano per il Paese, la risposta giusta è: vediamolo. Magari, facendo anche controproposte, se è il caso. In queste materie nessuno ha il verbo in tasca. E la Cdp non può essere un soggetto passivo. Specialmente davanti all`interrogativo se l`operazione all`ordine del giorno serva a elevare la concorrenza o ad aumentare la capacità di investimento sulla rete. La proposta Telecom, quand`anche fosse meglio precisata, potrebbe essere confrontata con altre impostazioni. Telecom Italia, per esempio, potrebbe figliare una Telecom della rete, assegnando a ogni socio attuale un`azione della nuova società. In tal modo, Telecom Uno potrebbe alleggerirsi di molto debito consentendo a una Telecom Due ormai autonoma di lanciare un aumento di capitale riservato alla Cdp e al mercato. A quel punto, gli attuali soci eccellenti, riuniti in Telco, sarebbero in minoranza nella Telecom Due, Cdp avrebbe la maggioranza relativa e poi ci sarebbe il mercato, del quale farebbero parte anche la stessa Telecom Uno, pura operatrice di servizi, Vodafone, Wind, la malmessa 3, Fastweb e Metroweb, che è del fondo F21. Ma neanche una simile impostazione sarebbe scevra da rischi. Gli operatori, infatti, potrebbero poi fare pressioni per abbassare le tariffe, usando i consumatori come scudi umani, e insidiare l`investimento della Cdp. Insomma, c`è un cerchio da quadrare. E non sarà facile.
Bernabé sa bene che la sua idea non può avere come interlocutore esclusivo la Cdp, non foss`altro perché le tariffe le fa l`Agcom e le eventuali agevolazioni sugli investimenti (senza le quali né il Giappone né la Corea avrebbero le reti spettacolari che hanno) le propone il Governo e le vota il Parlamento. Per lui, l`operazione sulla rete potrebbe essere l`acuto finale di una gestione travagliata dalle tremende eredità delle precedenti gestioni. Per i soci eccellenti di Telecom, potrebbe essere una boccata d`ossigeno nel momento in cui la madre di tutte le privatizzazioni si è da anni trasformata nella madre di parecchie speculazioni, per lo più sbagliate. Per l`Italia, potrebbe essere un`opportunità. Ma solo se fatta bene.

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