Si sente spesso il sindaco di Napoli parlare con toni trionfalistici di un suo “modello” di gestione pubblica dell’acqua. Mai lo si è sentito però illustrare quali sono stati i risultati concreti per i cittadini napoletani di questo presunto modello. L’azienda pubblica che ha gestito il servizio idrico fino al 2011, l’Arin, era società per azioni a totale partecipazione comunale ben capitalizzata e impegnata in significativi programmi di investimento: pensiamo soltanto al completamento dell’acquedotto del Serino con opere realizzate per circa 90 milioni di euro; era un’azienda sana, con una situazione debitoria e creditoria assolutamente sotto controllo; un’azienda efficiente che produceva utili per 3-4 milioni di euro completamente reinvestiti ogni anno. Nel 2011, in base a una scelta di carattere puramente ideologico, la giunta de Magistris e il consiglio comunale hanno trasformato la società pubblica comunale in azienda speciale, l’attuale Abc: da allora tutti gli indicatori rilevanti per la città e i napoletani hanno visto un inarrestabile peggioramento. Perché mi permetto di parlare di scelta ideologica? Perché persino nel disegno di legge Daga (dal nome della parlamentare cinquestelle), ovvero la proposta che interpreta in maniera più radicale l’idea di “acqua bene comune”, prevede che il servizio idrico possa essere gestito da “società a capitale interamente pubblico partecipate dagli enti locali il cui territorio rientri nel bacino idrografico di riferimento”. Invece la scelta propagandistica di utilizzare l’istituto dell’azienda speciale ha posto le basi per gettare in uno stato di crisi organizzativa e finanziaria permanente la gestione dell’acqua a Napoli. E infatti di tutti gli obiettivi che erano alla base di quella scelta non ne è stato raggiunto neppure uno.
La trasformazione di Arin in Abc fu assunta con le seguenti motivazioni fondamentali: 1) un servizio idrico sotto controllo pubblico, tale da offrire l’acqua, bene primario, a tariffe contenute; 2) una società di gestione che operasse senza scopo di lucro, garantendo in particolare l’impiego degli utili esclusivamente per migliorare il servizio; 3) una governance aziendale aperta a tutti i portatori d’interesse di rilievo per il territorio: dai cittadini-utenti alle associazioni ambientaliste, agli stessi lavoratori. Ebbene i risultati sono sotto gli occhi di tutti. In pochi anni a Napoli la spesa per il servizio idrico di una famiglia-tipo di quattro persone è aumentata di circa il 40%. Gli utili aziendali hanno visto un vero e proprio crollo; l’ultimo bilancio adottato da Abc, per l’esercizio 2016, evidenzia fortunatamente ancora un avanzo, ma ridotto ormai a poco più di 600mila euro. La riduzione progressiva degli utili non fa per nulla ben sperare per i bilanci 2017 e 2018 di cui però non sappiamo nulla perché non risultano neppure adottati dall’azienda. Di più: l’ultimo bilancio di Abc approvato dal consiglio comunale risale al 2013! Come abbia potuto lo stesso Comune continuare ad adottare legittimamente i propri bilanci e il bilancio consolidato dell’intera holding pubblica senza i dati di una delle principali società partecipate appare tuttora un mistero. Ma dove non arrivano i controlli degli organi di vigilanza contabile, arriva la dura legge dei fatti. E infatti il mancato allineamento dei debiti e crediti reciproci tra Abc e Comune ha prodotto una crisi finanziario-contabile dell’azienda, con poste per ben 60 milioni non giustificate accumulatesi nei bilanci.
In realtà si tratta in gran parte di soldi che il Comune non paga ad Abc perché il primo in questi anni ha di fatto usato l’azienda idrica come una specie di bancomat per far quadrare i propri conti. La prima vittima di questa crisi, ovviamente, sono stati gli investimenti per implementare la rete, ridurre gli sprechi e le perdite d’acqua, migliorare la qualità del servizio. L’Abc ha rappresentato in questi anni l’esatto contrario del modello partecipativo propagandato dal sindaco. L’azienda è commissariata da tre anni ed era già stata commissariata precedentemente; in pratica non ha quasi mai avuto organi statutari in carica: un uomo (o donna) solo al comando. Se questo è il modello che de Magistris avrebbe anche l’impudenza di voler esportare, mi permetto di osservare che l’esperienza fatta a Napoli è quella che più ha tradito le promesse e gli obiettivi dell’idea di acqua pubblica.


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