Nel dibattito attuale emerge un paradosso: i problemi gravi del Paese sono sotto gli occhi di tutti, ma per risolverli si propongono politiche che deliberatamente li aggravano. I dati pubblicati recentemente (Istat e Ocse) sul livello raggiunto dal peso delle pensioni sulla spesa pubblica e sul Pil, e contestualmente la minore capacità di redistribuzione del sistema e il rischio di povertà degli anziani, inferiore a quello di tutta la popolazione, parlano da soli.

Sorprendentemente si propone di aumentare il livello di iniquità e il numero dei pensionati, prevedendo la possibilità di andare in pensione prima dei 66 anni, ma anche prima dei 62 e addirittura dei 57, maturando quindi assegni più alti degli altri. Dovrebbe essere chiaro a tutti che ciò aumenterebbe la spesa pensionistica: infatti è partita una frenetica caccia a reperire i miliardi che servirebbero per questa cancellazione soft della riforma Fornero.

Si sorvola sul fatto che alla base della enorme crescita della spesa pensionistica negli anni 2000 non ci sono stati tanto gli “scandali”, certo da eliminare, quali le pensioni d’oro senza tetto (caso raro in Europa: il tetto c’è anche nella “comunistissima” Svizzera, e sarebbe ora di introdurlo anche in Italia) sopra i 6000 euro al mese, o in passato quelle godute con 19 anni di contributi, o quelle concesse ai falsi invalidi. Questi fenomeni inaccettabili esistono, ma hanno influito in misura lieve sull’aumento esponenziale della spesa. La quota maggiore della spesa pensionistica attuale è rappresentata dalle pensioni di anzianità maturate in media con 56-57-58 anni e fino ai 62, e di importi superiori ai 3000 euro mensili: un livello certo non da miliardari, e che tuttavia riguarda solo 900.000 pensionati su 16 milioni.

Forse può essere sgradevole apprendere che “il mostro” è tra noi, in quel ceto medio-alto, anzi alto più che medio, che vuole essere salvaguardato al pari dell’operaio o dell’impiegato di basso livello, un ceto che in gran parte, dopo essersi pensionato in anticipo rispetto all’età di vecchiaia, continua tranquillamente a lavorare. I pensionati che lavorano, infatti, sono quasi due milioni; tra coloro che percepiscono pensioni sopra i 3000 euro, quelli che lavorano sono quasi la metà.

Gli oppositori del Tfr in busta paga si prodigano in calcoli bizzarri e considerazioni apocalittiche sulle pensioni dei giovani per dire no alla semplice possibilità di scelta sul TFR in busta paga, o all’incremento della tassazione sulle rendite finanziarie. Si ergono a difensori del futuro dei giovani, incuranti come sempre del loro presente, tutt’altro che meraviglioso! Ma non è questo che stupisce, quanto il fatto che in una pur legittima battaglia da lobbisti del sistema assicurativo privato si siano arruolati molti che dovrebbero tutelare forse altri interessi e altri diritti.

di Claudio Micheloni, senatore PD, e Stefano Patriarca, economista

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