“Non è pensabile che, se il datore ha applicato tutti i protocolli di sicurezza, un eventuale infortunio abbia conseguenze su du lui su un piano penale o del risarcimento del danno. Serve una norma che lo chiarisca”. Tommaso Nannicini, capogruppo del Pd in commissione Lavoro del Senato, invita la maggioranza ad affrontare la questione posta dalle imprese sul rischio responsabilità dei datori di lavoro in caso di contagio trai dipendenti.
Dunque hanno ragione le imprese, senatore Nannicini?
Hanno ragione a porre il problema. Servono norme temporanee che permettano a tutti di lavorare con tranquillità, tenendo conto che siamo in una situazione eccezionale. Ma la discussione si sta avvitando su un falso problema: cioè, se ai fini Inail l’eventuale contagio d COVID-19 sul posto di lavoro sia un infortunio o una malattia. Non è questo il punto. E’ giusto che sia una copertura assicurativa forte per i lavoratori, la massima possibile. Ma allo stesso tempo va sgombrato il campo dalle possibile conseguenze penali e economiche per i datori di lavoro.
Vede possibilità concrete di riaprire la questione in Parlamento?
Dobbiamo sfruttare l’occasione dei provvedimenti all’esame delle Camere per dare subito certezza a tutti. Eventuali inefficienze dello Stato non possono essere scaricate su chi lavora. E questo vale sia per le aziende, sia per i lavoratori. Dobbiamo chiarire per legge, ad esempio, che se un lavoratore non trova i mezzi pubblici che gli consentono di recarsi sul luogo di lavoro in sicurezza, l’eventuale assenza non è ingiustificata e non può scattare un procedimento disciplinare.
Ritiene utile che le regioni possano derogare con proprie linee guida a quelle dell’INAIL, come sembra sia scritto nel decreto?
No, non lo è. La chiarezza deve arrivare da norme di legge, ancorché temporanee. Norme che, fino alla fine della pandemia, valgano allo stesso modo su tutto il territorio nazionale.
I protocolli sulla sicurezza rischiano di tradursi in ulteriore burocrazia?
I protocolli sulla sicurezza e le autocertificazioni sono utili, a patto che siano ragionevoli e proporzionati. Altrimenti, si tradurranno in ulteriore burocrazia. Per renderli efficaci servono più risorse per aiutare le aziende a sostenerne tutti i costi correlati: per esempio quelli di sanificazione, adeguamento degli spazi, acquisto dei DPI. E servono più risorse anche per assumere ispettori che controllino l’attuazione dei protocolli. Il nostro è un Paese dove, già prima della pandemia, sul lavoro morivano tre persone al giorno. E adesso si aggiunge un tema di biosicurezza. Abbiamo bisogno di più controlli e di ispettori con nuove competenze. Chi dice che gli ispettori sono “contro” le imprese, paradossalmente, si fa portatore di una visione negativa del nostro tessuto imprenditoriale. Le imprese hanno bisogno dell’aiuto di professionisti pubblici della sicurezza per essere certi su come applicare i protocolli. Senza questa collaborazione, c’è solo il Far West dei diritti.
Nei prossimi mesi il Governo è chiamato a una grande sfida sulle politiche del lavoro…
In autunno la crisi occupazionale che stanno già vivendo autonomi e precari si allargherà a una fetta di lavoro dipendente. Dobbiamo agire subito. Serve una garanzia universale del reddito non solo per i poveri ma per i disoccupati. Se perdi il lavoro non devi aspettare di perdere anche la casa perché lo Stato ti aiuti con il reddito di cittadinanza. E devi ricevere un salario di disoccupazione mentre fai la formazione. Dopo l’app Immuni, ci serve l’app Occupati, servizi del lavoro moderni, tecnologici, che reagiscono ai dati in tempo reale per offrire una formazione adeguata e tempestiva. Perché è la formazione permanente il nuovo articolo 18.


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