«È un passo verso l`Europa: l`Italia avrà per la prima volta uno strumento universale su tutto il territorio nazionale per combattere la povertà. Il Senato darà il via libera definitivo domani mattina». Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, parla del Piano contro la povertà come una delle riforme più significative del governo Renzi ereditate da Gentiloni. Lo considera un passaggio culturale: «Dal welfare dei sussidi a quello delle opportunità», dice. E a questa logica aggancia la proposta di ridurre il carico contributivo nella busta paga dei giovani neoassunti: «Farlo su tutti i lavoratori costerebbe molto».
Ministro, è vero che per la prima volta si istituisce uno strumento nazionale per combattere la povertà, però avete stanziato solo 1,6 miliardi per una platea potenziale di 4,6 milioni di persone in povertà assoluta. Non è una goccia nel mare?
«Intanto si tratta complessivamente di circa due miliardi di euro, considerando anche le risorse europee. Con queste risorse siamo in grado di raggiungere un po` meno del 50%. Ricordo, poi, che è la prima volta che viene messo a bilancio un fondo destinato alla lotta contro la povertà, non era mai successo. Dunque è più di quanto storicamente sia mai stato investito su questa materia. Ma soprattutto si guarda all`intero territorio, partendo dall`esperienza realizzata con il Sia ( sostegno per l`inclusione attiva) che, introdotto dal governo Letta come sperimentazione in alcune grandi città, noi abbiamo esteso a tutta Italia».
Perché si trovano 20 miliardi per salvare le banche e non le risorse per aiutare i poveri?
«Sono questioni con caratteristiche molto diverse, non mi sembrano comparabili. Ad esempio, i soldi per il consolidamento del sistema bancario e la difesa dei risparmi sono investimenti temporanei che poi rientreranno. E comunque le dico che le risorse contro la povertà sono destinate a crescere».
L`Alleanza contro la povertà sostiene che servono almeno sette miliardi di euro. È così?
«Lo valuteremo, anche perché ci sono misure assistenziali che si sovrappongono. Penso ad esempio all`assegno sociale che già oggi è uno strumento di sostegno al reddito e che dunque già interviene a favore di una parte della platea potenziale di poveri».
Che differenza c`è tra il reddito di cittadinanza dei Cinque stelle e il vostro reddito di inclusione?
«Sono cose molto diverse. Noi ci occupiamo di lotta alla povertà, interveniamo sui nuclei familiari in condizioni di difficoltà, puntiamo a far uscire questi soggetti dalla loro condizione. Quindi, non è un intervento generalizzato e indifferenziato».
Dopo il via libera del Parlamento saranno necessari i decreti attuativi. Quanti e in quali tempi?
«Ci sarà un solo decreto in tempi rapidissimi».
Quante famiglie riceveranno il sostegno?
«Sulla base delle risorse disponibili ipotizziamo circa 400 mila nuclei familiari con minori a carico, pari a un milione e 770 mila individui».
Di quanto sarà l`assegno?
«Attualmente il Sia è pari a 400 euro al mese che sarà elevato a circa 480 euro estendendo i requisiti di accesso. Stiamo ragionando su 3 queste basi anche se spetterà al decreto attuativo definire la soglia di povertà che darà diritto al sostegno».
Sarà una carta di credito ricaricabile?
«È una delle cose da decidere. Il Sia è una prepagata».
Riguarderà solo i cittadini italiani o anche gli stranieri residenti?
«Gli italiani e gli stranieri cosiddetti “lungo soggiornanti”, cioè coloro che stanno regolarmente nel nostro territorio da almeno cinque anni».
Chi riceverà il sostegno cosa dovrà fare? Ci sono vincoli?
«Si tratta di un progetto per includere le persone non dì assistenza passiva. La persona dovrà sottoscrivere un patto con la comunità locale di riferimento. Un progetto condiviso per offrire a chi è in difficoltà un`opportunità di miglioramento. Per esempio, la persona dovrà impegnarsi a garantire un comportamento responsabile, ad accompagnare i figli a scuola, a sottoporli alle vaccinazioni, a seguire corsi di formazione e ad accettare eventuali proposte di lavoro».
Non c`è il rischio di interventi a macchia di leopardo, diversi a seconda delle aree?
«Il nostro è un progetto nazionale. Certo le regioni che già hanno sperimentato forme di sostegno ai poveri si troveranno avvantaggiate. Ci sarà un coordinamento nazionale. È prevista anche l`assunzione a tempo determinato di circa 600 persone nei Centri per l`impiego per svolgere proprio questo ruolo di tutor nei percorsi di inclusione, specialmente per l`accompagnamento al lavoro».
C`entra qualcosa il piano con il “lavoro di cittadinanza” lanciato da Renzi?
«In entrambi c`è l`idea che si deve dare a tutti l`opportunità di un lavoro, che è molto di più di un impiego o di un reddito. E la realizzazione della propria vita».
Dunque il Jobs Act in questo non ha funzionato?
«Intanto abbiamo avuto circa 700 mila posti di lavoro in più con un Pil che è cresciuto lentamente. Il tema centrale ora è l`inclusione dei giovani e anche l`introduzione del pensionamento anticipato va visto come opportunità per inserire nel mercato del lavoro forze nuove».
Se lei dovesse scegliere come ridurre il cuneo fiscale-contributivo sceglierebbe un taglio solo per i giovani neo assunti?
«Se dipendesse da me, sì. Un taglio generalizzato costerebbe molto considerando che ogni punto di cuneo vale 2,5 miliardi. Se si deve scegliere, io scelgo i giovani».